Questo pomeriggio, Pasquale Mazzocchi è stato protagonista del “Dazn Talks”. Sotto i riflettori per le prestazioni magistrali con le quali sta deliziando i suoi appassionati, tutti i calciofili ed un po’ meno i tifosi delle squadre avversarie, si è dedicato, assieme ai giornalisti Dazn, Barbara Cirillo e Alessio De Giuseppe, a rispondere a non poche domande legate alla sua vita privata e professionale.
Che rapporto hai con la città di Salerno?
«Salerno è una città fantastica. Vivo in una zona tranquilla e che mi consenta di raggiungere facilmente il campo d’allenamento, come si suole dire la mia vita è “casa e chiesa”. Dopo le turbolenze di quest’estate, posso dire di aver trovato la mia dimensione.
Ti aspetti una chiamata in Nazionale?
«Farebbe tanto piacere. Ma adesso sono concentrato con la Salernitana. Totalmente. Se dovesse accadere, sarebbe un sogno».
Raccontaci l’emozione del primo gol
«Calcisticamente sono nato come esterno d’attacco, poi sono stato spostato come terzino. Negli anni ho dovuto modificare il mio modo di giocare, adattandolo più a quello di difensore. Però la mia dedizione in campo è sempre massima, non mi pongo limiti. Quando ho la possibilità di entrare in area di rigore e dire la mia, lo faccio. Il primo gol è stato straordinario emotivamente, inoltre, è avvenuto all’Arechi. Un’emozione unica. Indescrivibile».
Quante volte l’hai rivisto?
«Ho perso il conto.»
È stato più bello andare a dormire dopo l’esordio in A o dopo il primo gol?
«Dopo il primo gol. è stata una liberazione. I primi due mesi, prima del campionato, sono stati tremendi».
Come mai hai scelto la maglia numero 30?
«È il giorno in cui è nato un mio caro amico che, purtroppo, è venuto a mancare».
In media in quanti dei tuoi familiari vengono a vederti ad ogni partita all’Arechi?
«Sotto la ventina».
Sei molto credente, che rapporto hai con la fede?
«Sono molto credente, ma poco praticante per il lavoro che svolgo. Ho scelto una casa molto vicina ad una chiesa. Manifesto la fede a modo mio».
Il compagno al quale sei più legato?
«Rido e scherzo con tutti, anche con gli stranieri. Con questi ultimi quando non mi faccio intendere inizio a gesticolare».
Hai mai insegnato una parola in dialetto a qualche tuo compagno?
«Si, a Coulibaly. Gli ho insegnato:”passm ‘o pallon”, per essere più immediato. E ogni tanto la ripete anche lui ridendo».
Come sintetizzeresti in napoletano, con una parola, alcuni tuoi compagni?
«Ribery è ” ‘o fenomn”, Coulibaly è “l’animal”, Piatek è “‘u bell uagloion”, mister Nicola: “‘o Maestral».
Qual è il tuo sogno?
Io non ho sogni, ho obiettivi. I sogni si fanno di notte, quando si dorme. Io voglio raggiungere i miei obiettivi ad occhi aperti».
La Salernitana è una squadra che gioca bene, cosa c’è in più dello scorso anno?
«Siamo uno splendido gruppo, il mister contribuisce a renderci uniti. Se il gruppo non è forte, non si va da nessuna parte. Ci aiutiamo sempre, fuori e dentro il campo. Ci alleniamo al 100% tutte le volte, diamo sempre il massimo».
In proposito alle tue doti canore?
«A Napoli ci piace cantare, ce l’abbiamo nel sangue. Quindi, anche io amo cantare. A seconda dell’umore ascolto generi musicali diversi. Ascolto musica motivazionale prima delle partite per scendere in campo con ulteriore grinta».
Qual è il coro dell’Arechi che preferisci?
«Sono così concentrato che sento poco i cori. Quello di Salerno è un pubblico incredibile, cantano dall’inizio alla fine».
Qual era il tuo calciatore preferito da piccolo?
«Tifavo Inter, il mio calciatore preferito era Obafemi Martins. Crescendo mi sono appassionato alla squadra della mia città».
Al di là del calcio a cosa ti dedichi?
«Mi dedico alla famiglia, vado a fare la spesa, porto il cane a passeggio. In proposito alla spesa, sono molto categorico, ho una dieta specifica: conto i chicchi di riso. Non riesco a fare a meno della mozzarella, è il mio debole, faccio fatica a resisterle. Inoltre, tra le mie passioni rientra anche il disegno. Anni fa frequentai un’accademia. Disegno volti, mi rilassa. A mia moglie ho dedicato qualche ritratto».
In caso di salvezza ci prometti un disegno?
«Va bene».
L’attaccante più forte che hai marcato?
«Leao. Lui è un giocatore da potenzialità incredibili e margini di crescita infiniti».
Il compagno di squadra che ti ha impressionato di più?
«Ribery. Mentre giochi, lui è quattro volte più avanti di te, in tutto».
Il rapporto col mister?
«Nicola è unico. È un allenatore che ti entra dentro. Tra me e lui basta guardarci per capirci, è speciale. Prima di essere un mister è un grande uomo».
In proposito alla salvezza, come l’avete vissuta?
«Il mister ci ha trasmesso che dovevamo lottare una partita alla volta. Sembrava impossibile, ma il nostro allenatore ci ha aiutato a vedere sempre più vicino un obiettivo che sembrava irraggiungibile. La nostra è stata un’impresa epica. Contro l’Udinese ci è dispiaciuto aver sbagliato la partita. Ciononostante, sette partite in ventuno giorni, non sono state semplici. Abbiamo ottenuto, nonostante tutto, il risultato che meritavamo: la salvezza».
C’è la percezione che la Salernitana possa fare più di quel che ha fatto lo scorso anno?
«È la nostra ambizione. Lo stiamo facendo capire anche ai ragazzi che quest’anno giocano con noi. Ciò che conta è avere i piedi ben saldi a terra. Venerdì ci attende una gara impegnativa con il Lecce. Giocheremo, come tutte le volte che siamo all’Arechi, con un uomo in più in campo. Salerno è magica, bisogna viverla per capirlo».