Hai voglia di dire che nel calcio conti soprattutto la qualità tecnica degli interpreti. Poi, arriva una gara apparentemente priva di storia, che ti costringe a rivisitare convinzioni e modo di approcciare l’evento pallonaro.
Da una parte, la Lazio, squadra reduce da una condizione psicofisica invidiabile e accompagnata da grandi elogi dopo la sontuosa e vincente prestazione esibita in casa dell’Atalanta. Dall’altra, una Salernitana sicuramente in ripresa ma ancora impegnata in un lavoro di laboratorio, ricco di esperimenti, teso a trovare una precisa identità e i necessari equilibri tecnico-tattici.
Inoltre, aspetto da non sottovalutare, la compagine di Sarri si sta muovendo, ormai da settimane, sul filo della tensione e della pressione mentale costante, al fine di mantenere vivi tutti gli obiettivi stagionali. Con alle porte un derby sentitissimo e un match decisivo per proseguire il cammino in Europa.
A differenza dei granata che, grazie alle due sofferte vittorie interne contro Verona e Spezia, hanno ritrovato una classifica rasserenante e la tranquillità smarrita a cavallo tra la sconfitta interna contro il Lecce e la successiva cinquina di gol subita in casa del Sassuolo.
Ed alla fine, a ben vedere, è accaduto ciò che, da sempre, rende meraviglioso uno sport di abilità tecnica ma allo stesso tempo condizionato da dinamiche psicologiche che giocano un ruolo determinante. Perché Luis Alberto e compagni hanno immaginato, erroneamente, che sarebbe bastata una contesa di gestione (comprensiva dell’assenza del diffidato Milinkovic Savic) per domare i rivali di turno e centellinare risorse in vista della prossima, fondamentale settimana.
Mentre La truppa granata, guidata da un ex carismatico e di notevoli capacità tecniche come Candreva, è scesa sul prato verde con la leggerezza di chi sa di aver poco da perdere, ma anche supportata dalla consapevolezza di possedere i mezzi tecnici necessari per disputare una grande partita, inseguire ed agguantare l’impresa.
La vittoria della Salernitana è figlia di un copione tattico curato meticolosamente, di piccoli e costanti accorgimenti operati da Davide Nicola sul terreno della strategia e degli interpreti da coinvolgere. Ma anche dell’importanza di non sovraccaricare di responsabilità un gruppo dotato di significativo spessore tecnico, consapevole della sua forza e della missione da portare avanti.
La speranza, adesso, è che la squadra continui ad isolarsi dalle sirene mai dome di una città abituata ad oscillare paurosamente tra entusiasmi incontenibili e drammatizzazioni eccessive. Ed altrettanto attenta dovrà essere la società a non esternare propositi troppo ‘bellicosi’, perché sognare ad alta voce, volendola mettere sul piano meramente utilitaristico, non è il modo migliore per restare saldamente ancorati alla realtà e continuare a crescere un passo alla volta.
Questo dovranno fare i granata: porsi continuamente degli obiettivi e non guardare una classifica che lascia già pregustare la irripetibilità dei tormenti patiti la scorsa stagione.
Preparare ogni match come se fosse la partita della vita. Migliorare, individualmente e collettivamente, allenamento dopo allenamento. Assimilare principi calcistici e perfezionare la loro esecuzione sul campo. Essere esigenti con se stessi, non esaltarsi dopo un exploit come quello di ieri e, senza mai abbandonare umiltà e voglia di sudare, alzare gradualmente l’asticella.
Se il gruppo sarà in grado di alimentare le fonti della passione e di una sana ambizione, lasciandole incontaminate da fantasiose e precipitose fughe in avanti, dovrà dimostrarlo quotidianamente sul prato verde.
Se ci riuscirà, i risultati continueranno ad arrivare, più velocemente saranno gettate le basi per un futuro capace di regalare la dimensione calcistica sognata da tutti i seguaci dell’Ippocampo.
A partire dalla settimana che sta per iniziare e precede la difficile prova contro una Cremonese alla disperata ricerca di punti salvezza. Gli uomini di Alvini basano il loro gioco sulla grinta ed il dinamismo, due termometri che ci aiuteranno a testare il livello di maturità raggiunto da Fazio e compagni e la loro volontà di restare sul pezzo e continuare a trascinare se stessi e i tifosi.
La novità della gara di ieri, se così vogliamo definirla, risiede nel fatto che la squadra, dopo aver ritrovato certezze e concretezza sul piano della solidità difensiva e della classifica, ha rispolverato a tratti il gioco brillante ammirato in avvio di stagione contro Sampdoria, Bologna e Juventus. Infatti, è piaciuta la capacità di restare compatti in fase difensiva, ma sempre pronti ad affondare nella metà campo avversaria, avvalendosi di qualità, idee, carisma e coraggio.
La presenza di Mazzocchi e Candreva sulla destra, quella di Bradaric a sinistra, la regia tra le linee avversarie affidata a Bonazzoli, ma anche la costruzione dal basso garantita dai piedi educati di Fazio, Daniliuc e Radovanovic, hanno reso la manovra più fluida e meno prevedibile.
Cambi di gioco a creare superiorità numerica sul versante opposto, inserimenti senza palla di esterni intermedi, mezzali ed attaccanti, verticalizzazioni intervallate da fasi di gestione attraverso il palleggio, hanno destabilizzato una Lazio che non si attendeva una serata così complicata.
Chiarezza di idee che, al netto di qualche lettura non perfetta (vedi il gol subito ad opera di Zaccagni), la squadra ha palesato anche in fase difensiva.
Accantonate le dispendiose e rischiose marcature a uomo a tutto campo, che spalancavano praterie agli avversari che riuscivano ad eludere il pressing, la retroguardia granata, protetta dal lavoro di filtro operato da attaccanti e centrocampisti, è adesso diligente nel fare densità a ridosso dei propri sedici metri, esercitando aggressività sui riferimenti offensivi altrui solo nelle rispettive zone di competenza degli interpreti.
Pertanto, capita che la mezzala, la punta centrale e gli esterni rivali possano essere marcati, a seconda dei loro movimenti, sia dai tre centrali difensivi che dai due esterni intermedi granata. Compattezza e sincronismi che ancora necessitano di lavoro per fronteggiare anche le verticalizzazioni improvvise e più qualitative dei rivali di turno, ma che già adesso hanno ridotto drasticamente il numero di pericoli procurati dagli avversari.
I lavori, insomma, procedono proficuamente. Alla pari del recupero pieno degli infortunati, con il solo Maggiore ancora in infermeria, al quale potrebbe aggiungersi Gyomber a causa del preoccupante malanno muscolare che lo ha costretto ad abbandonare il campo dopo appena dieci minuti di partita.
Il gruppo ha dissolto tutte le voci che lo volevano contro l’allenatore; chi gioca meno, profonde il massimo impegno quando viene chiamato in causa.
Basterà continuare così, semplicemente. Perché, come sosteneva Lucio Dalla in un suo celebre brano, ”L’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale”. A buon intenditore poche parole.
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