Editoriale

Equilibrio e serenità per preparare ‘la partita’ che potrebbe valere una stagione.

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Tanto equilibrio da preservare nelle prossime ore e pagina juventina da voltare immediatamente.

Il libro del campionato granata già propone ‘la partita’, da non sbagliare a tutti i costi, sul campo del Verona, diretta concorrente nella lotta salvezza e squadra decisamente in forma e in ripresa, dopo una prima parte di stagione assai deficitaria.

Incontrare la Juve quando è determinata ed arrabbiata non è mai un’esperienza piacevole, perché nel dna bianconero il cromosoma che spicca sugli altri è la capacità di compattarsi nei momenti di difficoltà e superarli. Se a ciò si aggiunge che gli uomini di Nicola hanno dovuto fronteggiare anche le motivazioni feroci del ritrovato Vlahovic, il quadro degli ostacoli da sormontare diventa ancora più nitido.

Giusto analizzare, alla ripresa dei lavori, ciò che non ha funzionato nell’arco dei novanta minuti, ma sarà altrettanto importante focalizzare in fretta l’attenzione sul delicato match del ‘Bentegodi’. Sapendo di partire con un vantaggio di sette punti e con la consapevolezza che sarà sufficiente non perdere. Per mantenere inalterate le distanze e chiudere il doppio confronto con il bonus da spendere nell’eventualità di dover far ricorso alla classifica avulsa.

Cuore caldo, mente fredda e potenziali polemiche da cestinare senza esitazioni. La truppa agli ordini del trainer piemontese deve riprendere a lavorare in assoluta tranquillità, non può permettersi di dissipare energie fisiche e mentali attraversando gli umori della piazza. L’intervallo temporale sarà lungo appena cinque giorni, troppo pochi per elaborare la delusione e allo stesso tempo preparare la partita sul piano mentale, tecnico e tattico.

La tifoseria, pur comprendendo la legittima delusione per l’inatteso passo indietro rispetto alla positiva prestazione contro il Lecce, deve sforzarsi di non passare da un estremo all’altro: squadra fenomenale dopo l’exploit in Salento; interpreti inadeguati, dieci giorni più tardi, per un torneo di massima serie.

La discontinuità dei risultati e delle prestazioni rientra nell’ordine naturale delle cose, quando sei impegnato in un torneo che ti mette a dura prova ogni settimana. La compagine cara al patron Iervolino, è giusto ricordarlo, veste ancora i panni della neofita in questa categoria, pertanto la crescita attraverso gli errori e le sconfitte è una condizione sostanzialmente fisiologica. Il segreto risiede nella pazienza e nella volontà di procedere, un passo alla volta, verso quella stabilità che è alla base della crescita graduale e della maggiore continuità dei risultati.

La Salernitana è composta da calciatori all’altezza del principale campionato italiano, ma passa una grande differenza tra il poter frequentare dignitosamente il palcoscenico e la pretesa di considerare gli stessi interpreti alla stregua di infallibili star di primissima fascia. Se così fosse, le loro prestazioni si svilupperebbero in contesti pallonari decisamente più altolocati di quello offerto attualmente dalla città di Salerno.

La fondata fiducia in una proprietà che possiede idee e risorse, progetti tesi a ridurre nei prossimi anni le distanze dalle ‘big’ del nostro calcio, deve infondere ottimismo e sano entusiasmo, ma anche evitare di tramutarsi in una fretta nociva.

La partita di ieri ha riproposto la Salernitana in versione 4-5-1, con Dia e Candreva impegnati a svolgere la doppia fase, Nicolussi Caviglia in regia, Sambia e Bradaric esterni bassi e la conferma della coppia centrale difensiva costituita da Troost-Ekong e Bronn.

Missione della serata: togliere campo e spazio alla Juve, sfruttare l’episodio di rimessa per incidere anche sul piano offensivo. In realtà, la sensazione ricavata dalla breve fase di equilibrio del match è che ci fosse scarsa convinzione nel portare avanti la seconda parte della strategia.

Lo si è dedotto dalla circolazione lenta e timorosa del pallone, con la Juve che lasciava la possibilità di organizzare la manovra ed una Salernitana che perdeva tempi di gioco, non palesava personalità nella giocata singola e collettiva, e faceva fatica a muoversi senza palla.

Sulla sinistra, quando l’azione si sviluppava a destra, Bradaric aveva sempre interessanti fette di campo da percorrere, ma il giropalla era macchinoso e prevedibile, con i cambi di gioco effettuati da Candreva in due sole occasioni. Questo poteva essere il tema dominante dell’asciutta proposta offensiva granata, insieme alle dirompenti ripartenze affidate a Dia. Abbiamo visto poco dell’uno e delle altre, con le sortite della punta senegalese apparse velleitarie per gran parte del match.

A lasciare perplessi è stata una sorta di fatalistica arrendevolezza di base, nonostante la tranquillità di una gara in cui si aveva poco da perdere, accompagnata dall’euforia e dalla serenità procurate dai tre punti conquistati a Lecce. Esistevano tutti i presupposti per giocare con maggiore scioltezza e disinvoltura, ma la squadra è apparsa inspiegabilmente contratta, remissiva e confusa nella gestione dei momenti di difficoltà imposti dalla gara.

Discreto inizialmente il copione difensivo, interessato soprattutto a presidiare gli spazi a ridosso dei propri sedici metri. Strategia che è stata punita, come era già accaduto contro il Napoli, da alcune letture tattiche errate – dei singoli e di reparto – da incertezze in fase di gestione palla, dalla classe di calciatori del calibro Di Maria e Vlahovic, dagli inserimenti costanti dei centrocampisti juventini nel cuore dell’area granata.

La Juventus non ha prodotto tantissimo nel primo tempo, ha saputo attendere, capitalizzando cinicamente le proprie opportunità. Un uno-due nella seconda parte della prima frazione di gioco, seguito dal gol di Vlahovic ad inizio ripresa, hanno messo la parola fine sulla contesa dopo neanche cinquanta minuti.

I cinque cambi operati da Nicola hanno regalato alla platea ormai rassegnata il variegato ritorno alla difesa a tre (3-4-3; 3-4-1-2; 3-5-2). Ben poco, però, si è visto per riportare in vita una partita già morta e sepolta. Una conclusione dalla distanza di Bonazzoli e un tiro cross di Sambia non tramutato in gol dall’intervento in allungo di Dia, agevolati entrambi da una squadra bianconera meno feroce e ormai appagata, non hanno mutato il corso degli eventi. Hanno solo prodotto qualche strigliata di Allegri ad i suoi uomini, che nel finale hanno avuto diverse occasioni per rendere ancora più severa la sconfitta dei padroni di casa.

Maurizio Iuliano

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