Non posso dire di stare in fondo alla campagna come l’avvocato Conte, eppure Genova per me ha sapore di sconosciuto ancora. Diversamente mare, si potrebbe dire. Almeno per me, che guardo guardingo, mai completamente empatico, a questi “sabedores do mar”, alla loro architettura magnifica e diversa – la tengono in corredo genetico, ché qui è nato Renzo Piano –. Eppur parente sono un po’ se pure della loro musica – tanto Faber , non solo Faber – mi sono nutrito. E chissà se parente si sente Paulo Sousa, identificato ormai come timoniere della nostra barca. A passeggiare per quelle strade la cadenza delle parole non è tanto diversa da quella che puoi ascoltare a Viseu. Non senza una ragione, chè i portoghesi hanno insegnato al mondo come si naviga, chè ai portoghesi hanno insegnato i genovesi, ricevendone in cambio il dono di una lingua musicale.
Io guardo guardingo. Lo devo al marchio calcistico che sempre mi influenza in giudizi e sensazioni. Il fatto è che questo stadio è stato spesso crocevia, indipendentemente dalla sponda toccata. Leggevo proprio in questi giorni di Cristian Stellini, proiettato dalla cistifellea di Antonio Conte sulla panchina del Tottenham Hotspur. Il nome evoca la maledetta semifinale del 2006. Sia detto per inciso, è stata l’ultima volta che ho visto Carmine Rinaldi, il Siberiano sugli spalti. Ma anche sulla sponda odierna ho sofferto, come quando Ortega mise a segno un penalty pesantissimo per il destino di quella stagione. Della gioia ultimissima di Pasqua tutti sanno, ma bella fu pure la vittoria del 2000, con Cagni che diede lezione a Ventura. Insomma, da queste parti le sfide sono quasi sempre epiche, e questo terreno di gioco non è banale.
Non lo sarà neanche domani, soprattutto per quanti si arrampicheranno su quella stia, la gabbia per polli che a Genova chiamano simpaticamente “settore ospiti”. Si andrà in campo col risultato di Spezia-Verona fresco di stampa. Potrebbe pesare, ma anche no. Ricordo come l’anno scorso, alla vigilia di Pasqua, andammo dentro col macigno di Cagliari-Sassuolo 1-0. Non si respira l’aria drammatica di quei giorni, ma è proprio vero che il dio pallone è capriccioso e si diverte a riproporre questi incroci. Il numero 87 di Antonio Candreva aveva diverso colore allora, la differenza potrebbe farla lui. Ma non manca curiosità per questo nuovo corso, per i rientri degli infortunati, per lo spazio che sapranno ritagliarsi quelli poco impiegati, e il pensiero assume in questo caso i colori della bandiera norvegese, con Bohinen e Botheim chiamati a dare un senso ad una stagione che finora un senso non ce l’ha.
Si vede bene, quindi, che carne a cuocere non manca. Anzi, forse è pure troppa. Ma a spazzare via suggestioni e sensazioni sarà il fischio di Massa da Imperia. C’è Liguria pure qui, in questo mini ciclo di quattro partite, di tre trasferte, che a Genova nasce e a La Spezia muore. Prima di ricevere l’Internazionale a Sabato Santo, la Salernitana conoscerà la sua dimensione. Da qualche parte bisogna pur iniziare. Mi arrampico sulla stia.
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