Editoriale

Sconfitta l’arrendevolezza del passato, ma il nuovo corso tattico ha bisogno di tempo

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Una certezza ha caratterizzato la vigilia della gara contro la Sampdoria: tutto sarebbe stata tranne una passeggiata di salute.

Nonostante i problemi societari e le assenze importanti nel reparto avanzato, i ragazzi di Stankovic avrebbero organizzato una battaglia calcistica lunga cento minuti.

La Salernitana ha avuto il grosso merito di affrontare il match con questa consapevolezza. Un approccio psicologico che ha permesso agli uomini di Paulo Sousa di non essere sorpresi e domati dal furore dei padroni di casa.

La classica partita brutta, sporca e cattiva, da giocare con i panni inzaccherati della classe operaia. Prima ancora di sfoderare la pretesa di vincerla sul piano del gioco, dell’estetica e della presunta superiorità tecnica.

Di questo bisogna rallegrarsi: Gyomber e compagni, impegnati nel paziente processo di crescita del nuovo corso, non hanno dimenticato la necessità di dover migliorare la classifica.

Non sono stati perfetti ed organizzati dal primo all’ultimo respiro, però il temperamento e la concentrazione li hanno sempre scortati nel ribollente catino doriano.

Perché quella di Genova, contrariamente a tutti gli inutili pronostici a tavolino, è contesa che perdi se non rispetti l’orgogliosa disperazione altrui.

Arriveranno le transizioni fulminee dalla fase passiva a quella attiva, come le giocate significative dei singoli, ma sudore e fatica rappresentano la base di ogni progresso.

Anche perché, senza una graduatoria che trasmetta serenità, diventa difficile professare propositi ambiziosi sul miglioramento qualitativo delle performance collettive e individuali.

Il calcio giocato può essere un circolo virtuoso: se hai la giusta tensione mentale ed emotiva, il risultato lo conquisti anche in una prestazione non perfetta.

Esattamente quanto è accaduto ieri alla compagine granata, uscita dal rettangolo verde, dopo aver dato tutto, con una classifica che trasmette fiducia.

Giornata di campionato preceduta dalla necessità di far punti e approfittare dello scontro diretto andato in scena tra Spezia e Verona.

Missione compiuta per un altro motivo: sono rientrate nel mirino anche Lecce ed Empoli, sconfitte rispettivamente contro Inter e Monza. 

Pertanto, è giusto guardarsi alle spalle, ma i quattro punti racimolati nelle ultime due gare permettono di allargare il plotoncino delle pericolanti.

Nelle fasi iniziali del match, i campani, sorretti dalla fiducia post Monza, hanno provato immediatamente ad attaccare la Sampdoria e renderla ancora più fragile sul piano emotivo e mentale.

Pressing alto, uomo su uomo a tutto campo, e verticalizzazioni offensive improvvise: il menù tattico preparato in settimana da mister Sousa.

E quasi stava riuscendo il progetto di destabilizzare ulteriormente la volenterosa truppa agli ordini di Dejan Stankovic.

Splendida l’azione confezionata dall’atipico tridente offensivo composto da Piatek, Candreva e Kastanos. Sponda del centravanti polacco, palla filtrante del centrocampista cipriota e taglio tempestivo dell’ex laziale, il cui tiro non sorprende l’ottimo Audero.

In chiara difficoltà i padroni di casa, privi degli spazi in cui liberare la loro rabbiosa corsa finalizzata alla ricerca del risultato.

Ed allora palla lunga a cercare la fisicità e le sponde di Jesé per attivare gli inserimenti di Sabiri e Cuisance. Su una di queste iniziative, il centrocampista marocchino ha sfiorato il gol con una traiettoria a giro che è terminata poco lontana dal palo sinistro di Ochoa.

Poi, la gara è lentamente diventata una battaglia, tatticamente bloccata, caratterizzata da estemporanei strappi su entrambi i fronti. Le occasioni, non nitidissime, sono scaturite da errori causati dall’aggressività altrui, più che da trame di gioco disorientanti.

La Sampdoria si è affidata al carisma e al temperamento dei volitivi Rincon e Winks, due autentici mastini della zona nevralgica del campo. Sempre aggressivi sulle seconde palle, metodici nella distribuzione del pallone, maestri nel favorire episodi favorevoli all’interno di una contesa ‘sporca’ e spigolosa, abili ad abbassarsi per eludere il pressing dei dirimpettai.

Sugli sviluppi della loro pressione costante, la Samp è riuscita ad avvicinarsi pericolosamente alla porta granata in tre occasioni estemporanee. Augello ha calciato male a pochi passi da Ochoa, che è stato bravo però a farsi trovare pronto sui tiri di Leris, Zanoli e Jesé.

La Salernitana, attenta soprattutto a rimanere compatta a ridosso dei propri sedici metri e a non cedere sul piano mentale e agonistico, si è affidata a qualche strappo affidato a Sambia e Kastanos. Su una punizione guadagnata dal secondo, l’ex Montpellier ha calciato ottimamente ma ha trovato la felina risposta di Audero.

Nel secondo tempo, i blucerchiati, pur consapevoli dei propri limiti tecnici, hanno gettato il cuore oltre l’ostacolo e costretto a lungo l’Ippocampo sulla difensiva. Stankovic ha disposto i suoi con il 4-2-3-1 e nel finale di partita addirittura con il 4-2-4. Il trequartista (Cuisance) e il doppio centravanti hanno favorito la superiorità numerica doriana sulle fasce, dove si muovevano in due per ciascun versante, con la Salernitana costretta a fare densità al centro della retroguardia.

Pressing asfissiante, diverse percussioni sulle due corsie laterali, ritmi tambureggianti, ma la scarsa qualità delle giocate e la pochezza del reparto offensivo ligure hanno permesso ai granata di non andare oltre una fisiologica sofferenza.

Anche grazie all’attenzione e al vigore di Gyomber e Pirola, e alla sostanza arcigna di un Coulibaly non sempre preciso nella gestione del pallone, ma determinante nella sua capacità di calarsi nella maschia ‘guerriglia’ confezionata da Rincon e Winks e limitarla.

Candreva e compagni sono usciti raramente dalla sterile morsa doriana con un palleggio di qualità e organizzato. Qualche potenzialità offensiva in più si è intravista con l’ingresso in campo di Bohinen, Mazzocchi, Maggiore e Dia e il passaggio al 3-5-2. Le mezzali (Coulibaly e Maggiore) hanno provato a turno ad inserirsi, meno problematica è apparsa anche la ricerca delle corsie esterne.

Una grossa occasione è capitata sul piede dell’ex spezzino, per il resto è sembrata prevalere la volontà di restare compatti e portare a casa un risultato positivo. Una necessità che ha conferito scarsa convinzione alla fase offensiva e allo stesso Dia, poco supportato ed anche velleitario e impreciso nei suoi tentativi.

Pareggio finale giusto e poco spazio ai rimpianti. Il terreno di gioco ha mostrato una squadra finalmente lontana dalle arrendevolezze causate dalle prime difficoltà. Ma ha anche detto che i lavori del nuovo corso, pur procedendo alacremente, avranno ancora bisogno di tempo prima di raccogliere i loro frutti migliori.

Maurizio Iuliano

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