Editoriale

Conta il viaggio, non la meta. Match da vivere con serena e gioiosa consapevolezza

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Finalmente si gioca. Una vigilia che ha fatto impallidire anche un parto gemellare avvenuto in condizioni avverse.

Fortunatamente, si tratta di una gara di calcio. Sentita e importante, ma pur sempre una corsa dietro a un pallone su cento metri di prato verde.

Essere consapevoli di avere la fortuna di giocarla, in fin dei conti, dovrebbe colmare i cuori di gioia autentica.

Soprattutto in ottica granata, perché un cimento simile, in uno stadio gremito e festante, contro la squadra che ha dominato il campionato, rappresenta il sogno di ogni calciatore professionista.

Un banco di prova estremamente affascinante. Grazie al quale testare la freddezza mentale, il coraggio della giocata, la personalità nel saper fronteggiare le numerose difficoltà proposte dal match.

Un’esperienza stimolante per i veterani del gruppo, già avvezzi a simili scenari. Un’opportunità imperdibile per i più giovani, che impareranno in fretta a conoscere mente e corpo al cospetto di impegni così probanti.

Perché sono queste le partite che, più di tante altre, danno la misura del lavoro ancora da compiere su se stessi.

Esse richiedono la necessità di essere esigenti con la propria prestazione, senza infingimenti, alibi e vittimismi. Al di là del risultato, che potrà essere la risultante di diverse variabili impazzite o, semplicemente, il dominio di un team sull’altro.

La Salernitana dovrà fare questo: comprendere, individualmente e collettivamente, quanto cammino resta da fare per ritagliarsi con merito uno spazio nell’universo pallonaro delle grandi firme.

E questo sarà possibile solo partendo da un’assioma ineludibile: a Napoli puoi perderla anche dopo aver dato tutto e giocato cento minuti perfetti.

A fare la differenza sarà la capacità di creare ostinatamente le condizioni per dare il massimo. Di effettuare giocate che costringano gli avversari a non recitare da protagonisti assoluti.

I ragazzi di Sousa, mai abbandonati dall’umiltà, dovranno coltivare la sana ambizione di trasformarsi nel classico granello di sabbia che possa inceppare un meccanismo perfetto.

Perché quando faranno la doccia dopo la partita o ascolteranno la musica preferita in pullman sulla strada del ritorno, non conterà l’eventuale sconfitta subita per mano di campioni del calibro di Osimhen o Kvaratskhelia.

Questo rientra nell’ordine naturale delle cose. A fare la differenza, a farti procedere a testa alta e con l’animo sereno saranno altre istantanee.

Ottantamila persone che, prima di dar sfogo agli agognati e meritati festeggiamenti, avranno dovuto trattenere il fiato in diversi momenti della partita.

Lo sguardo mutato dell’avversario in corso d’opera, la sua fronte imperlata di sudore più del previsto, la stretta virile di mano al termine di un match intenso e faticoso anche per i neo campioni.

Non bisognerà lasciare nulla d’intentato. Si dovranno cestinare sul nascere disincanti e arrendevolezze dettati dall’oggettiva superiorità tecnica dell’avversario.

Con la fede cieca del credente divoratore di passi biblici, si dovrà approcciare la contesa con l’animus pugnandi che consentì a Davide di sopraffare Golia.

Servirà a poco? Probabilmente si, considerata la disparità di valori. Ma aiuterà a volersi bene e a trovare un posto privilegiato nel cuore dell’orgogliosa torcida granata.

Maurizio Iuliano

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