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Il fiero Ippocampo scompagina i piani del Napoli. Il calcio è definitivamente risorto a Salerno

Sousa ed i suoi ragazzi hanno scritto una dei capitoli più interessanti dell'ultrasecolare storia granata. Pagine pregne di orgoglio, temperamento, personalità, organizzazione tattica ed estetica calcistica. Poche tappe separano dalla salvezza e dalla pianificazione di un futuro ancora più ambizioso dell'esaltante tempo presente.

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La storia di Napoli-Salernitana è tutta condensata nell’istantanea dei momenti immediatamente successivi alla rete di Boulaye Dia che è valsa il pareggio granata.

La mano penzolante di Botheim, come a voler sottolineare la grandezza del gesto tecnico realizzato dal compagno, è stata la premessa.

Seguita dal dito portato alla tempia dall’asso senegalese, quasi a immortalare plasticamente l’entità dell’impresa compiuta da lui e dal gruppo in tutta la sua interezza.

Per concludere con il commento televisivo di Stramaccioni, che, definendo ‘giocata alla cieca‘ il tiro della punta africana, ha inconsciamente dato la misura di una Salernitana rivelatasi inattesa guastafeste.

Una prodezza di rara bellezza, intrisa di freddezza ed estro, non può essere archiviata con un’analisi tanto lapidaria quanto poco aderente alla realtà.

Nel tiro di piatto a giro del gioiellino salernitano, in realtà, abbiamo ammirato la sana determinazione covata per una lunga settimana dagli innamorati adepti dell’Ippocampo.

Il ruolo di vittima sacrificale, da immolare sull’altare dei potentati calcistici, è stato respinto sin dal primo istante della incomprensibile farsa legata all’esigenza di preservare un presunto ordine pubblico.

La squadra ha respirato l’amarezza della tifoseria, ha carpito l’importanza di gettare il cuore oltre l’ostacolo ed è tornata a casa con un punto meritato.

Al termine di una gara difensivamente perfetta per lunghi tratti, prima di esibire lucidità e personalità nella ricerca della rimonta. In uno stadio ribollente di entusiasmo e passione, già intento a pregustare le tappe di una festa pianificata nei dettagli.

Un’impresa sportiva curata meticolosamente, sia sul terreno tattico sia dal punto di vista mentale ed emotivo. Mentre esternamente al gruppo risuonava il frastuono indigesto di dinamiche che rasentavano la prevaricazione.

Società, mister, calciatori e tifosi hanno subito inizialmente il colpo, poi è emersa la volontà di affrancarsi da un copione scritto maldestramente da altri.

Ed alla fine il raccolto è stato copioso, sotto tutti i punti di vista. Grazie ad un’interpretazione calcistica notevole e ad uno spirito battagliero e mai domo.

Una fase difensiva organizzata e coriacea ha concesso poco ad un Napoli che aveva realizzato 68 gol nelle precedenti 31 partite. Quando gli uomini di Spalletti hanno avuto l’opportunità di segnare, ci ha pensato il ‘puma’ Ochoa a neutralizzarli.

Che dire, poi, di Norbert Gyomber? Troppo a lungo considerato ingiustamente una sorta di Cenerentola calcistica, prima di diventare uno dei difensori più solidi dell’intero campionato.

Il dominante Osimhen, che ha stracciato mastini del calibro di Bremer e Smalling, ieri è stato ammansito e condotto in prossimità di una crisi di nervi.

‘Duracell’ Coulibaly, un trattore che ara chilometri di prato verde, sradica palloni dai piedi avversari, diventa difensore aggiunto, svetta di testa, raddoppia marcature, riparte e corre ininterrottamente per novantacinque minuti.

Su Dia abbiamo ormai esaurito gli aggettivi. Una punta prolifica, che fa sembrare facili le giocate più ardue, capace di ripulire palloni insignificanti e trasformarli in transizioni offensive, entra di diritto nel gotha del calcio europeo.

Ne avremo tutti definitiva contezza al termine della stagione, quando saranno in tanti a bussare alle porte di Iervolino e De Sanctis. Con una mano busseranno, con l’altra dovranno firmare assegni almeno tre volte superiori a quello vidimato dal patron granata. Se vorranno avvalersi delle prestazioni di uno dei primi venti attaccanti dell’intero panorama calcistico europeo.

Dulcis in fundo, doverosa è l’elencazione dei meriti da attribuire a mister Paulo Sousa. Un avvento provvidenziale, in grado di trasformare in Eden l’inferno in cui si era gradualmente inabissata la squadra.

I suoi uomini hanno imparato a difendersi con tenacia, a ragionare e a spendersi al servizio del collettivo. Essi raramente smarriscono la bussola nei momenti di difficoltà, riuscendo ad essere sempre più coesi, pazienti, lucidi e propositivi.

I miglioramenti sono palesi, le conoscenze tecnico-tattiche lievitano, seppur resti ancora tanto da fare. Margini di crescita indissolubilmente legati all’evoluzione incoraggiante dei singoli profili.

Calciatori troppo frettolosamente giudicati improduttivi ed economicamente onerosi, stanno ripagando l’ottimo operato svolto dal ds Morgan De Sanctis e i lungimiranti investimenti realizzati dal patron Iervolino.

Il sogno? Mettere in fretta il suggello a questa stagione, conquistando i pochi punti ancora necessari per garantirsi il terzo campionato consecutivo in massima serie.

Il passo successivo sarà mantenere pressoché inalterato l’attuale gruppo di lavoro. Poi, bisognerà alzare l’asticella delle ambizioni, realizzando mirate e importanti operazioni in chiave tecnica. Anche per ingolosire qualche interprete che, inevitabilmente, sarà tentato da scenari calcistici ancora più stimolanti.

Se ne riparlerà tra qualche settimana, quando la classifica, sempre più tranquillizzante, darà il suo ok definitivo.

Per concludere, una sintetica analisi tecnico-tattica del match andato in scena al ‘Maradona’ di Napoli.

Sousa ha schierato la squadra con il 3 4 2 1. Riportando Kastanos in terza linea, rilanciando a destra il ristabilito Mazzocchi, con Dia riferimento offensivo più avanzato.

Sistema di gioco tramutabile in 5 4 1 in fase di non possesso. Con Candreva e Kastanos ad abbassarsi sulla linea dei due mediani e a garantire densità centrale. Inoltre il cipriota, a differenza dell’ex laziale, deve anche scalare a destra per assicurare manforte a Mazzocchi e Daniliuc nel controllo del temibile Kvaratskhelia.

Progetto difensivo articolato e immediatamente visibile. L’uomo contro uomo, soprattutto in mediana, si registra solo quando le mezzali partenopee (Anguissa e Zielinski) arretrano per ricevere palla. In questi frangenti, Coulibaly e Vilhena portano pressione un po’ più alta, lasciando ai cinque difensori il compito di controllare in superiorità numerica il tridente del Napoli.

Quando, invece, i padroni di casa lasciano la costruzione ai difensori centrali e al metodista Lobotka e avanzano le mezzali, Vilhena e Coulibaly si abbassano davanti alla difesa, compattano le linee e tolgono agibilità agli avversari.

Tattica redditizia, perché in questo modo gli uomini di Spalletti sono neutralizzati sulla trequarti e non trovano sbocchi neppure sulle corsie laterali. La squadra, infatti, si muove compatta lungo i versanti in cui transita il pallone. A destra, sono in quattro (Kastanos, Mazzocchi, Daniliuc e Vilhena) a fronteggiare la catena sinistra partenopea. A sinistra, la medesima funzione spetta al quartetto composto da Candreva, Bradaric, Pirola e Coulibaly.

Fase difensiva che registra anche l’importanza del lavoro compiuto dai braccetti di retroguardia (Daniliuc e Pirola). Entrambi impegnati ad uscire sulle mezzali del Napoli nelle fasi di pressione più alta, a supportare Gyomber in marcatura su Osimhen a difesa schierata. Ma anche a scalare lateralmente quando la circolazione più veloce di palla dei partenopei impone subitanei raddoppi sui tentativi di uno contro uno di Kvaratskhelia e Lozano.

Fase difensiva quasi perfetta: i rari pericoli portati dagli azzurri sono figli di ripartenze causate da errori in uscita (Candreva e Mazzocchi), oppure da qualche palla inattiva che palesa la fisicità dirompente del Napoli.

La partita è cambiata al minuto sessanta, quando Olivera, il meno temuto su corner e punizioni laterali, ha anticipato Daniliuc di testa e portato i padroni di casa in vantaggio.

Sousa, a questo punto, è stato costretto a rivisitare la sua strategia. Dentro Bohinen, Piatek e Sambia, fuori Vilhena, Mazzocchi e Bradaric. Squadra disposta con il 3 4 3, più aggressiva ed alta, propositiva e costretta anche ad accettare l’uno contro uno in difesa.

Il match ha fatto registrare una carburazione lenta ma progressiva della Salernitana. Che ha iniziato ad attaccare gli spazi, a palleggiare e a muoversi senza pallone, portando tanti uomini negli ultimi trenta metri partenopei.

I tre attaccanti hanno iniziato a giocare vicini, Sambia è diventato riferimento di spinta a sinistra, mentre Kastanos ha alternato rifiniture per le punte e tagli da destra al centro per arrivare al tiro. Il tutto con il lavoro di supporto e di spinta assicurato dal posizionamento più alto di Bohinen e Coulibaly.

Il Napoli ha avuto l’opportunità di chiudere il match con un’azione di rimessa di Kvaratskhelia, però non ha saputo concretizzarla ed è andato in difficoltà al cospetto della maggiore vivacità granata.

Il gol del pari è stato soprattutto una prodezza di Dia, ma anche la conseguenza di una pressione che Spalletti ha provato ad arginare inserendo Juan Jesus, un altro difensore centrale, al posto di Olivera.

Nel finale, le due squadre, desiderose di superarsi, hanno perso un po’ le coordinate tattiche e sono arrivate ad un passo dal colpaccio. Kvaratskhelia ha trovato pronto Ochoa a respingere il suo tiro, mentre Bohinen ha fallito di testa la chance dei tre punti.

Ciò che resta al termine di una delle pagine più emozionanti della storia granata è, però, soprattutto l’orgoglio regalato dalla trascinante creatura governata dall’abile trainer portoghese.

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