Il linguaggio del corpo, spesso, ti suggerisce in anticipo quello che può essere l’inizio emotivo e temperamentale di una gara di calcio. Segnalandoti anzitempo la compagine più bellicosa e quella che sembra aver dimenticato negli spogliatoi una corposa dose di motivazioni.
Al contrario di un Lecce energico, determinato e cattivo, la Salernitana uscita dallo spogliatoio è sembrata fin troppo morbida, quasi impreparata a fronteggiare il furore dei padroni di casa.
In sostanza, si è ripetuto quanto si era già visto in occasione dei due avvii di match contro Roma e Udinese. Una squadra granata attendista, che decide di accettare i ritmi di gioco e i temi tattici proposti dall’avversario di turno.
Fino a ritrovarsi inevitabilmente sotto nel punteggio ed essere costretta a mutare atteggiamento e ad esprimere più coraggio e intraprendenza.
Scelta che desta più di una perplessità. Perché il manto erboso ha già sentenziato che Candreva e compagni sono più produttivi quando la partita la giocano da protagonisti e non da sparring partners.
Con la trasferta in Salento si è esaurito anche il proverbiale ‘non c’è due senza tre’. Pertanto è auspicabile, dopo la sosta, un necessario cambio di rotta. Per rivedere in campo, alla ripresa, un collettivo che coltivi maggiore autostima e una superiore consapevolezza delle insidie proposte dal torneo.
La pausa sarà provvidenziale. Il momento giusto per risolvere in maniera definitiva qualche mal di pancia di troppo. Ma anche alcune divergenze di vedute tra il mister e la dirigenza, che rischiano di minare pericolosamente l’immediato futuro e il percorso che conduce all’obiettivo finale.
Per quattro mesi si dovrà pensare solo a quanto bisognerà fare sul prato verde, accantonando aspirazioni di mercato sfumate e richieste da riproporre nel lontano tempo che verrà.
Se si vorrà evitare che la stagione del consolidamento e delle ambizioni a tutti i livelli si trasformi in un inatteso cammino tribolato, con tutto ciò che ne consegue.
In questo contesto di rivisitazione saggia e consapevole del momento, non sarebbe peregrina neppure l’idea di fare ragionamenti tattici differenti. Al fine di provare a sfruttare fino in fondo le qualità presenti in organico e, contestualmente, passare un po’ di belletto su eventuali lacune non ancora colmate.
Un invito alla responsabilità e alla ricerca di quella coesione senza la quale tutto diventa più complicato da realizzare. Ben sapendo che vittorie e sconfitte saranno sempre frutto del lavoro di gruppo e mai figlie dell’operato individuale.
Tornando al match, ancora una volta la Salernitana ha dovuto subire l’inizio arrembante degli avversari e accusare il doloroso manrovescio assestato con il preciso colpo di testa di Krstovic. Era già accaduto con Belotti e Samardzic, è successo nuovamente in terra salentina.
Giallorossi di casa aggressivi sin dalle prime battute, verticali e rapidi nell’attaccare gli spazi lasciati incustoditi dai dirimpettai. Ma anche abili a farli girare a vuoto, eludendo facilmente il tentativo poco convinto di portare pressing alto e spostando il gioco da un versante all’altro. Gyomber e compagni, limitati anche da un atteggiamento mentale non esattamente centrato, hanno sempre concesso qualche varco lungo le corsie esterne e centralmente.
Le due catene pugliesi, composte ciascuna da tre uomini, sono state spesso in superiorità numerica. Le mezzali e gli esterni (difensivi ed offensivi) di D’Aversa hanno avuto sistematicamente la meglio nei primi venti minuti di gioco. Supportati anche dall’ottimo lavoro svolto dal centravanti Krstovic, abile finalizzatore ma anche lucido distributore di palloni.
Ochoa ha dovuto raccogliere in fretta la sfera all’interno della sua porta. E forse è stato un bene, perché la truppa del trainer lusitano è stata costretta ad uscire dal fragile guscio in cui si era velleitariamente rintanata.
A partire dalla metà del primo tempo, la Salernitana ha iniziato a dire la sua, affidandosi soprattutto alla verve di Cabral, mai timoroso nel cercare la giocata in grado di scardinare la fase difensiva pugliese.
Più in generale, l’atteggiamento colpevolmente passivo delle prime fasi della gara ha lasciato spazio ad un protagonismo maggiore. La squadra ha alzato il baricentro, Candreva e Kastanos hanno iniziato a dettare il passaggio e a sfornare qualche assist interessante. Con i cambi di gioco si è cercato di sfruttare la vivacità di Cabral nell’uno contro uno e attivare maggiormente Bradaric a sinistra. Anche Coulibaly ha svestito i panni di mediano di presidio ed ha iniziato, seppur con alterne fortune, ad operare qualche strappo.
Il Lecce, sempre pronto a pungere di rimessa, ha smesso di maramaldeggiare ed ha dovuto iniziare a preoccuparsi degli ospiti ritrovatisi parzialmente. Falcone ha neutralizzato a fatica l’inserimento con tiro di Candreva, Gallo ha sofferto l’estroso brio di Cabral.
Nel secondo tempo, Sousa ha chiesto all’ex Sporting Lisbona di occuparsi meno della fase difensiva e di partire alto a sinistra. Con licenza di dare pochi punti di riferimento negli ultimi trenta metri e affiancare Candreva e Kastanos nel proposito di trovare le giocate capaci di spaccare la partita.
E’ cresciuta la sensazione di poter causare danni alla retroguardia giallorossa. Anche se una evidente leggerezza offensiva, complice anche l’assenza di Dia, non ha mai abbandonato gli osservatori. Tanta pressione ma di occasioni autentiche da gol se ne son viste poche.
I tre cambi effettuati da Sousa (Mazzocchi, Martegani e Ikwuemesi) non hanno sortito gli effetti sperati. Anzi, probabilmente hanno sottratto un po’ di fluidità e intensità al forcing di inizio ripresa.
Qualche risultato in più con gli ingressi di Bohinen e Tchouna, che hanno provato a dare un maggiore ausilio offensivo a Cabral e Candreva. Questi ultimi non hanno mai smesso di provare a creare le condizioni per portare a casa un risultato positivo.
Però la buona sorte ha deciso di non premiare la Salernitana. Il palo di Cabral e il rigore in movimento fallito dal positivo fantasista portoghese hanno impedito alla squadra di agguantare il pari.
Che, tutto sommato, nonostante una partita contrassegnata da colpevoli tentennamenti e qualche evidente limite tecnico, non sarebbe stato un risultato immeritato.
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