Ed ora sangue freddo e razionalità. Senza farsi condizionare da umori devastati e goleade evitabili.
Perché il momento è calcisticamente delicato, ma i dati devono essere analizzati nel loro insieme. Stando attenti a non essere precipitosi e, soprattutto, ad affidarsi ad una lungimiranza capace di aprirsi la strada anche in un sentiero oscurato da nubi.
La Salernitana vista all’opera nella prima ora di gioco contro l’Inter, è una squadra che può recuperare terreno e lottare da protagonista per la salvezza.
Paulo Sousa, nuovamente animato in panchina da sacro furore, prodigo di consigli e fautore di scelte aderenti alla realtà, può ritornare ad essere un valore aggiunto.
Che qualcosa sia cambiato è apparso fin troppo chiaro. A partire dal linguaggio del corpo del trainer lusitano. La testa china esibita ad Empoli, i sorrisetti forzati intrisi di mestizia e rassegnazione, sono stati sostituiti dall’indole dell’antico guerriero di mille battaglie.
Il collettivo spigliato, rabbioso e reattivo, supportato da coraggio e intraprendenza tecnica, è un gruppo che crede ancora nel suo allenatore. E bene ha fatto il pubblico dell’Arechi ad applaudire tutti i granata al termine del match. Perdonando anche i gol di troppo subiti ed il lassismo difensivo finale, figlio dello scoramento.
Perché è facile esaltare la capacità di non disunirsi anche nelle difficoltà. Però è altrettanto verosimile che sia fin troppo umano lasciarsi sopraffare dalla delusione, dopo aver giocato per lungo tempo alla pari contro una rivale fortissima.
Come avevamo auspicato dopo la cocente sconfitta in terra toscana, mister Sousa ha iniziato a lavorare sulle necessarie modifiche da apportare alla sua creatura calcistica. Una trasformazione quasi rivoluzionaria ha preceduto la gara contro gli uomini di Inzaghi.
Una autentica metamorfosi tattica. Sia nella formuletta numerica che tanto piace agli appassionati di calcio, sia per il modo di assecondare la stessa da parte dei protagonisti in campo.
Non più il copione attendistico e un po’ timoroso che faceva fatica ad allontanarsi da un asfittico palleggio, velleitario nel suo proposito di riuscire a controllare l’avversario di turno. Prima di lasciarsi guidare da una reazione tardiva, con il risultato ormai compromesso e con crescenti rimpianti da archiviare.
Il 4-4-1-1 (4-5-1) iniziale schierato contro l’Inter, valorizzato dagli interpreti a cui è stato affidato, ha evidenziato tanti aspetti positivi. Innanzitutto, l’occupazione degli spazi a livello difensivo, favorita da compattezza, aggressività e densità, ha permesso alla squadra di difendersi meglio. E, contestualmente, di riproporsi in maniera più fluida e veloce nella metà campo dei blasonati avversari dopo aver riconquistato il pallone. Si è giocato sui riferimenti, con le coppie definite sin dal primo minuto, ma il tutto è avvenuto all’interno di una robustezza da preservare sistematicamente nella zona in cui si muoveva la sfera.
A fare la differenza, rispetto al recente passato, è stata l’idea condivisibile di schierare un centrocampo folto e ricco di fosforo. Affidato ad interpreti dai piedi educati, mai timorosi di attaccare lo spazio, effettuare una verticalizzazione, un tiro in porta e un dribbling.
Una mediana composta da Kastanos, Bohinen, Martegani, Legowski, con Dia e Cabral abili a dare pochi punti di riferimento, ha messo spesso in soggezione l’Inter e permesso di guadagnare campo. Anche perché la circolazione veloce di palla e la capacità di dettare il passaggio nella trequarti avversaria costringe i rivali ad abbassarsi. E questo aspetto favorisce anche la linea difensiva, che accorcia sugli altri due reparti e partecipa essa stessa alla manovra.
Un approccio gagliardo e di personalità, come testimonia l’impressione pressoché costante di poter far male in più di un’occasione ad un team dominante come quello nerazzurro.
Ovviamente, questo sentore di nuova primavera calcistica non può far dimenticare altre urgenze da risolvere in fretta. Siano esse calcistiche, come la soglia di attenzione difensiva individuale e collettiva e il maggior cinismo in fase di finalizzazione. Siano esse legate a fattori che esulano dal terreno di gioco. Pertanto, totale condivisione degli obiettivi e unità. Mal di pancia, vecchi e nuovi, da cestinare fino ad obiettivo raggiunto.
Questo bagaglio di consapevolezza della cifra tecnica deve rappresentare il momento della rinascita granata. La base su cui ricostruire l’autostima e gli entusiasmi smarriti.
Si perderanno altre partite, soprattutto contro squadre scaltre e dai valori tecnici superiori, ma probabilmente, con questa qualitativa e propositiva personalità, si riusciranno a vincere quei match che permetteranno agli uomini di Sousa di strappare una nuova permanenza nella massima serie.
Con il ritorno a pieno regime di Dia, Candreva e Coulibaly, il discorso tecnico-tattico su cui si è iniziato a lavorare potrà avvalersi di nuovi valori determinanti.
La classifica è severa, ma le distanze che separano dal porto sicuro sono ancora decisamente colmabili, per non dire irrilevanti. Sarà fondamentale, però, credere ostinatamente nel nuovo corso. Una cieca fiducia che, alla stregua di una bussola, servirà a ritrovare il giusto sentiero dopo altri momenti di difficoltà che sicuramente arriveranno.
Una settimana di tempo, dopo il tour de force, per preparare con cura la difficile trasferta in casa del Monza. Sette giorni per trarre salubri benefici dalla disamina della prima ora di gioco esibita ieri. Sette giorni per volersi bene e ritrovare l’orgoglio di stupire nuovamente il calcio italiano.