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Svolta ‘ideologica’ o si finisce in B. Giocare a calcio e smetterla di rincorrere a vuoto gli avversari

I granata hanno una sola strada per uscire fuori dal tunnel: giocare un calcio qualitativo e intraprendente. L'unico sistema per impensierire gli avversari e tenerli lontani dai propri sedici metri. Se ad una squadra sostanzialmente tecnica ed estrosa chiedi di indossare la tuta operaia, difficilmente riuscirai a preservare il castello della serie A faticosamente eretto nelle due precedenti stagioni.

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Si fa davvero fatica ad entrare nell’immaginario tattico di Paulo Sousa. Soprattutto quando sembra aver trovato la quadra e, incomprensibilmente, ritorna a strizzare l’occhio ad un recente passato avaro di soddisfazioni.

Bastava muoversi seguendo le indicazioni tratte dalla prima ora di gioco disputata contro l’Inter. Centrocampo folto e qualitativo nel palleggio, due punte che non davano riferimenti alla difesa e discreto possesso dell’iniziativa.

Inter costretto spesso sulla difensiva, relegato in una dimensione di pazienza e sofferenza che non le appartiene. La squadra vice campione d’Europa riportata temporaneamente sulla terra. Inzaghi che perdeva le sue sicurezze nel registrare un avversario che muoveva bene il pallone ed occupava con padronanza gli spazi, con e senza palla.

Una densità propositiva, intenta a muovere la sfera e a guadagnare campo, a mostrare coraggio e intraprendenza con tutti i calciatori di movimento. Con i conseguenti benefici tratti dal reparto difensivo, che approfittava della manovra avvolgente della mediana per accorciare su di essa e partecipare attivamente alla fase di costruzione.

Un protagonismo collettivo che, costringendo spesso sulla difensiva l’Inter, facilitava anche la riconquista, da parte della retroguardia granata, dei palloni sporchi. Giocati frettolosamente dai nerazzurri, impegnati ad accelerare le giocate per alleggerire la pressione di Dia e compagni.

Kastanos, Bohinen, Martegani, Legowski, tutti insieme, con Dia e Cabral liberi di agire sull’intero fronte offensivo. Intorno alla metà del primo tempo, avevano spesso dato la sensazione di poter trovare il gol da un momento all’altro.

La densità di qualità, infatti, sortiva un duplice effetto positivo. In primis, calciatori abili a muovere più il pallone che le gambe, avevano accusato un dispendio fisco e mentale minore, traendo benefici evidenti sul piano della pulizia della manovra. Gli inserimenti negli spazi, effettuati a turno e coperti alle spalle dalla compattezza creata dal possesso palla, non erano accompagnati dalla preoccupazione di creare particolari scompensi alla fase passiva.

Certo, la gara ha preso una pessima piega nel suo terzo finale, con Martinez Lautaro abile ad approfittare dello scoramento e della confusione granata innescati dal primo gol subito. Ma quanto fatto nella prima ora di gioco meritava di essere considerato, approfondito, migliorato e confermato.

Senza dubbio alcuno, la migliore ora di match ammirata nelle prime otto giornate di questo tribolato campionato. La migliore prestazione contro la compagine più forte affrontata.

Uno sprazzo di luce in un’oscurità pressoché costante. E’ stata davvero strana e autolesionistica la decisione di abbandonare tutto. Per riaffidarsi al canovaccio stentato che ha portato in dote appena 3 punti in sette partite.

Sette appuntamenti che hanno mostrato in maniera inequivocabile che l’organico granata può fare tante cose sul prato verde, tranne impostare la partita sulla fisicità e la gestione esperta e scaltra dei novanta minuti.

Perché Sousa ha una difesa composta da giovani di valore ma ancora impegnati in un fisiologico processo di crescita.

A centrocampo è palese la presenza di calciatori dai piedi educati e provvisti di spunti significativi, ma non esattamente il top dal punto di vista del podismo difensivo, del temperamento e della lettura tattica.

Infine, i protagonisti del reparto offensivo diventano devastanti quando giocano liberi da dettami tattici e incombenze difensive. Esaltando in questo modo l’estro che ben si completa con la qualità dei centrocampisti che agiscono alle loro spalle.

Il tutto in un’interscambiabilità di ruoli e posizioni che permette alla squadra di essere protagonista, imprevedibile e non più vittima passiva e designata. Come è accaduto a Monza, per larghi tratti ad Empoli, ma anche negli avvii stentati contro Lecce, Udinese, Frosinone e Roma, per non parlare della disfatta interna contro il Torino.

La Salernitana, per come è strutturata tecnicamente e fisicamente, non ha alternative: può vincere le partite e difendersi solo attraverso una condotta di gara propositiva.

Contro le grandi, probabilmente, non sarà sempre possibile. Ma sicuramente potrà farlo, con maggiore frequenza e ottenendo riscontri positivi, affrontando le pari grado.

Il campionato scorre via veloce, la classifica è severa ma ancora largamente migliorabile. Necessario, però, sarà un ‘cambio di passo ‘ideologico.

Bohinen, Martegani, Kastanos, Candreva, Cabral, Dia, Coulibaly, Legowski, Mazzocchi ed altri ancora, possiedono il bagaglio calcistico per viaggiare da protagonisti, avvalendosi di una condotta di gara coraggiosa e intrisa di personalità e spessore tecnico.

Se a questi calciatori chiedi di fare gli operai del pallone, di correre fino allo sfinimento dietro ai loro dirimpettai di turno, i risultati continueranno ad essere deficitari. Con la frustrazione e la scarsa autostima che impiegheranno poco tempo ad annichilire definitivamente le loro significative doti tecniche.

La svolta tecnico-tattica non è più procrastinabile. Con o senza Paulo Sousa.

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