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Storie di Salernitana: Géza Kertész

La straordinaria vita di Géza Kertész, l'allenatore eroe di Salerno.

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geza kertesz
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Tempo di lettura: 5 minuti

di Marco Giannatiempo

Quest’articolo è la trasposizione testuale, parzialmente riveduta, del quinto episodio del podcast «Agostino».

Allenatore della Salernitana, eroe degli ebrei

Géza Kertész è stato un importante allenatore della Salernitana tra il 1929 e il 1931 e poi nella stagione 1940/41. Ma, soprattutto, è stato un eroe per aver salvato decine di ebrei ungheresi dai campi di concentramento, un’attività meritoria che gli è costata la vita.

La storia di Kertész nella nostra città inizia nel 1929, quando il fascio locale nomina vice-presidente e commissario della Salernitana il tenente colonnello Enrico Chiari, parmense domiciliato a Salerno, sportivo appassionato ma inesperto. Chiari ha intenzione di costruire una buona squadra con il minor investimento possibile e l’affida al trentacinquenne Geza Kertész. Ungherese di Budapest, in gioventù Kertész è un centrocampista alto e dinoccolato, tecnico ma lento, e per questo viene soprannominato “bradipo”. Gioca per anni nel BTC, una delle squadre di Budapest, poi nel più titolato Ferencváros e infine in Italia allo Spezia, nella sola stagione 1925/26, nella quale è allenatore-giocatore. In seguito intraprende la carriera di allenatore guidando la Carrarese e il Viareggio prima di giungere a Salerno nella stagione 1929/30.

Il suo contributo al calcio e all’umanità

Kertész è un allenatore abilissimo nella tattica, nella preparazione atletica e ancor più nel curare la tecnica di base dei calciatori. Non solo: è un manager a tutto tondo, una sorta di Alex Ferguson degli anni ’30. Cura il mercato, costruendo una Salernitana a sua immagine e somiglianza, e caldeggia lo sviluppo delle squadre giovanili. Il primo anno è interlocutorio: un campionato di Prima Divisione (la Serie C) senza patemi e senza sussulti, concluso a metà classifica.

Il tecnico ungherese è confermato sulla panchina della Salernitana anche nella stagione successiva, la 1930/31. Da operatore di mercato rivoluziona la squadra acquistando, tra gli altri, il prolifico attaccante friulano Luigi Miconi e soprattutto Armando Bertagni, un forte centrocampista con spiccata propensione al gol. Kertész ha l’intuizione di trasformare Bertagni in un difensore centrale, o meglio in un terzino: in quel periodo si chiamano così perché occupano la terza linea del terreno di gioco, e soltanto molti anni più tardi quel termine avrebbe designato i difensori di fascia. Con un po’ di lavoro rende il mediano modenese uno dei migliori difensori della Salernitana del suo primo mezzo secolo di storia: robusto e agile, elegante e forte di testa. Gustoso l’aneddoto raccontato da un importante giornalista dell’epoca, Giurapas, al secolo Giuseppe Raffaele Pastore, autore della prima storia della Salernitana pubblicata a puntate, dal 1961, sul giornale La voce di Salerno: «Tu essere terzino, vecchio donno – dice Kertész a Bertagni – terzino grande grande, vecchio donno!». Vecchio donno, cioè vecchio signore, anche se il povero Bertagni aveva soltanto 23 anni…

Kertész sottopone i suoi ragazzi a una dura preparazione, che li rende contratti nelle prime gare e imprendibili a campionato inoltrato. Avrà dato certamente il suo contributo Angelo Carmando, il nuovo masseur dei biancocelesti e capostipite di una dinastia di massaggiatori di acclarata importanza. A metà campionato la Salernitana si trasferisce dal Piazza d’Armi, ormai inadatto per una compagine con un nutrito seguito di tifosi, al nuovo campo di Via Nizza, che soltanto dal 1952 verrà intitolato a Donato Vestuti. A proposito, le cronache dell’epoca raccontano, fin dalla prima gara ufficiale (un 4 a 1 sul Vomero), che i residenti nei palazzi circostanti ospitano molti tifosi sui loro balconi. Un malcostume destinato a sopravvivere ai decenni.

Dopo il fragoroso successo con il Messina per 4 a 1, il quattordicesimo consecutivo in casa (due anni di sole vittorie) la Salernitana entra in una delle sue frequentissime crisi societarie. Il presidente Pinto si dimette e anche Kertész decide di mollare, nonostante i biancocelesti siano in testa alla classifica del loro girone. Diversamente da oggi, gli allenatori possono trasferirsi in altre squadre del campionato italiano e così il tecnico magiaro accetta l’offerta molto generosa del patron della Catanzarese, il barone Talamo. In un primo momento il club accetta le dimissioni e sostituisce Kertész con Silvio Stritzel, che in gioventù fu fondatore della Triestina e da calciatore vinse uno scudetto con la Novese. Dopo una sconfitta interna, tuttavia, la società decide di ricorrere al Direttorio Federale. Ricorso accolto: Kertész torna a Salerno e con professionalità conclude il campionato vincendo il girone E e qualificandosi alla finale contro il Cagliari che vale la Serie B.

Doppia sfida: 1 a 1 a Salerno, con gol di Alfredo Terno e molte occasioni sprecate. Si gioca tutto a Cagliari, dove la squadra di Kertész è seguita da una decina di tifosi. A quasi un secolo di distanza, è proprio il caso di dire: che eroi! La Salernitana segna con Miconi e sfiora più volte il raddoppio, ma nel secondo tempo si rintana in difesa nella speranza di conservare il minimo vantaggio e, quindi, di portare a casa la prima storica promozione in B. Il Cagliari, però, prima pareggia e poi ribalta il risultato. In entrambe le reti c’è la complicità del portiere ospite, Franco Lipizer, che commette due errori marchiani. Qualcuno avanza dei sospetti e in effetti Lipizer si dà alla macchia, non si vede più in città. Tornerà a Salerno soltanto pochi mesi dopo la finale confessando ad alcuni tifosi di essere stato indotto dal tenente colonnello Chiari, nell’intervallo della partita decisiva, a lasciar vincere i sardi. Per un club in perenne difficoltà economica come la Salernitana, la Serie B avrebbe comportato costi troppo onerosi. Niente promozione in cadetteria, quindi: si dovrà attendere il 1938 con la Salernitana guidata da un altro allenatore magiaro, Ferenc Hirzer.

Il rapporto unico tra l’Ungheria e Salerno attraverso allenatori e giocatori

Singolare il rapporto tra l’Ungheria e la città di Salerno. Oltre a Kertész e Hirzer, la Salernitana annovera nella sua storia ben altri quattro allenatori ungheresi: Armand Halmos (1935/36), Béla Karoly (1939/40), István Mayer (1959/60) e Gyula Zsengellér (1961/62). Tra i più talentuosi calciatori della Salernitana della prima metà della sua storia si ricorda il magiaro Mihaly Kincses, ala di eccelsa tecnica con un passato nella Juventus e nella sua nazionale, in granata tra il 1952 e il 1954. Fu l’ultimo straniero a vestire la maglia della Salernitana fino al 1996.

Italia-Ungheria è stata la prima partita della nazionale maggiore disputata a Salerno, il 1° maggio del 1991, e Ungheria-Italia il primo match in cui un calciatore della Salernitana, Pasquale Mazzocchi, ha vestito la maglia azzurra.

Soprattutto, il più importante scrittore ungherese del secolo scorso, Sándor Márai, ha vissuto a Salerno, in un appartamento del quartiere Pastena, tra il 1968 e il 1980.

Torniamo al protagonista del nostro racconto. Dopo la sconfitta di Cagliari, Kertész si trasferisce alla Catanzarese e conduce i calabresi in Serie B. Ottiene lo stesso risultato con il Catania (la squadra di quella che forse è la sua vera città adottiva, benché uno dei suoi figli sia nato a Salerno) e con il Taranto, e poi si guadagna il privilegio di esordire in Serie A, alla Lazio. Torna alla Salernitana nella stagione 1940/41, in Serie C. Subentra al suo connazionale Hirzer e ci rimane per quasi tutta la stagione, fino alla debacle di Terni che ci sveglia dal sogno Serie B, poi raggiunta due anni più tardi con Gipo Viani. Il 6 maggio del 1941 termina l’avventura a Salerno di quello che Giurapas definisce «il più grande, il più completo, il più capace e intelligente allenatore che abbia mai avuto la Salernitana».

Il tragico destino di Kertész e il suo riconoscimento come “Giusto tra le Nazioni”

Dopo l’interruzione dei campionati italiani per la guerra, Kertész torna in patria e istituisce un’organizzazione per salvare gli ebrei dallo sterminio nazista. Si traveste da ufficiale tedesco, nasconde gli ebrei perseguitati in casa sua o ne facilita la fuga. Una delazione determina il suo destino. Viene arrestato e fucilato il 6 febbraio del 1945, appena sette giorni prima della liberazione di Budapest. Negli anni ’80 è proclamato Giusto tra le Nazioni, la più prestigiosa onoreficenza conferita dallo stato di Israele ai non ebrei che hanno salvato la vita di almeno un ebreo dall’olocausto. In sua memoria è affissa una targa sul wall of fame dello Stadio Vestuti. C’è scritto: «per essere stato uomo giusto nello sport e soprattutto nella vita».

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