Per intensità atletica, abnegazione agonistica e potenzialità tecniche espresse a tratti, non è stata una delle versioni peggiori della Salernitana di quest’anno.
La squadra, infatti, ha provato a giocare fino in fondo la sua partita, nonostante la difficile condizione psicologica determinata da una classifica sempre più critica.
E lo ha fatto, soprattutto, contro un avversario, il Napoli, oggettivamente superiore per caratura tecnica, conoscenze calcistiche e carisma collettivo.
Inzaghi ha deciso di giocarsela alla pari, disponendo i suoi calciatori quasi a specchio al cospetto dei più quotati rivali. Provando ad attaccarli sulla fascia destra con l’asse Mazzocchi-Tchaouna, non privandosi dell’esperienza di Candreva e garantendo a Dia la spalla rappresentata da Ikwuemesi.
Il progetto tattico, pur mostrando interessanti potenzialità tecniche e costringendo il Napoli ad un’aspra contesa intrisa di attenzione e determinazione, non è riuscito mai ad impensierire realmente la fase difensiva partenopea.
Dal punto di vista difensivo, invece, l’assetto granata è apparso un po’ troppo spregiudicato. Concedere eccessiva agibilità a Lobotka, costringere Candreva a sfacchinare sulle piste di Di Lorenzo, con Bradaric già assorbito completamente da Politano, non sono risultate scelte vincenti. Discutibile, nel finale, anche il cambio di Mazzocchi, il migliore in campo della Salernitana.
Su questa generosa interpretazione difensiva dei padroni di casa, il Napoli ha costruito pazientemente il suo successo. Riuscendo ad esibire le sue doti di palleggio, muovendosi senza palla con tutti i suoi effettivi e regalando scarsi riferimenti a Fazio e compagni.
Pur tra scelte iniziali opinabili e difficoltà a concretizzare la vivacità tecnica dei suoi interpreti offensivi, la compagine granata ha però offerto incoraggianti segnali di risveglio, restando all’interno del match fino al minuto ottanta. Segnali che, probabilmente, si sarebbero tramutati in punti pesanti contro avversari meno ostici.
Negarlo significherebbe lasciarsi completamente vincere dall’amarezza procurata da una graduatoria sempre più preoccupante e da un avvio stagionale scioccante.
Anche ieri, alcuni elementi snobbati dalla precedente gestione tecnica, hanno dimostrato di possedere argomenti calcistici in grado di ritagliarsi uno spazio nel maggiore campionato italiano. Tchaouna (2003), Legowski (2003) e Ikwuemesi (2001) rappresentano operazioni di mercato significative ed il tempo provvederà a certificarle.
Dia e Mazzocchi sembrano nuovamente mentalizzati. Coulibaly, pur protagonista di qualche incertezza di troppo, sta crescendo in vigore fisico e convinzione. Fazio, finito da mesi nel dimenticatoio, potrà dare una mano con la sua esperienza. Candreva, dopo un avvio esaltante seguito da un evidente calo, recupererà progressivamente il carisma e l’estro che lo hanno sempre accompagnato.
Certo, parlarne oggi, con la squadra mestamente ultima con soli quattro punti racimolati, sembra un oltraggio alla pazienza di una tifoseria sempre più amareggiata.
Ma il campionato, seppur avviatosi su un piano decisamente declinato, deve continuare. Perché il percorso è ancora lungo ed il momento delle somme da tirare appare prematuro. Il patibolo del giudizio, richiesto a gran voce da più parti, farebbe bene a restare ancora nascosto in qualche deposito polveroso dello stadio Arechi.
L’immediato futuro, che vedrà gli uomini di Pippo Inzaghi alle prese con un calendario durissimo, trasmette ulteriore ansia. Ma bisognerà necessariamente trovare la forza psicologica e caratteriale per restare tenacemente aggrappati al torneo.
Smettere di sventolare anzitempo la bandiera bianca della resa, con ventisette match da giocare e uno svantaggio ancora recuperabile, è un dovere morale che dovrà accompagnare addetti ai lavori e tifoseria.
Lasciarsi andare non servirà a nulla, riuscirà solo a polverizzare le già ridotte possibilità di tagliare il traguardo salvezza per la terza stagione consecutiva.
La torcida granata, da sempre trascinante con la sua capacità di trasmettere forza, coraggio ed amore ai propri beniamini, dovrà trovare la pazienza e l’orgoglio per impedire al disincanto e alla rassegnazione di dominare la scena.
Quello che appare impossibile in questa fase, potrebbe diventare verosimile nel breve volgere di un paio di partite. Bisogna andare oltre la razionalità disincantata e insistere. Nonostante tutto, facendosi piacere anche l’articolata tossicità che trasuda da tutte le pieghe di una stagione tanto sofferta quanto inattesa nella sua precarietà.
Che sia sperabile risalita o prosecuzione di un doloroso e irreversibile calvario calcistico, è estremamente importante vivere consapevolmente gli altri due terzi e mezzo di torneo che ancora ci attendono.
Affinché dalla sofferenza crescente o dalla gioia, al momento negata e auspicabilmente goduta più avanti, possano derivare utili insegnamenti per gli anni a venire. Nulla si cestina nella vita, la quale non smette mai di imprimere indelebilmente le sue lezioni nella mente e nell’animo degli uomini.
Dare tutto. Fin quando la luce non sarà definitivamente spenta e bisognerà prendere atto di un eventuale fallimento calcistico da analizzare e processare, prima di trasferirlo agli archivi. Adesso, però, è ancora tempo di alimentare le risorse psicofisiche disponibili e aiutare Candreva e compagni a tirar fuori il massimo. Sia per quanto concerne l’aspetto tecnico-tattico, sia dal punto di vista temperamentale e motivazionale.
Che il mondo intero, magari godendo a più non posso, sia ormai pronto a scommettere sul ritorno in cadetteria della Salernitana, ci può stare. Assolutamente inaccettabile, invece, sarebbe l’autolesionistica tendenza ad infierire sull’Ippocampo ferito espressa da chi sostiene di amarlo da sempre. Il vero amore ed il carattere identitario trovano la loro massima espressione nella difficoltà più estrema, non quando tutto procede a gonfie vele.
E se proprio non si riesce a comprendere questa verità di fondo, si abbia almeno il buonsenso di non accostare minimamente questa parentesi della storia granata agli scempi perpetrati nel recente passato.
Quando anche gli errori commessi, figli della superficialità e della presunzione, saranno stati la causa di una sconfitta sportiva, non operare una netta distinzione tra il presente e il passato sarà un meschino esercizio di disonestà intellettuale.
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