Now I been out in the desert,
just doin’ my time
searchin’ through the dust,
lookin’ for a sign
if there’s a light up ahead well brother I don’t know
but I got this fever burnin’ in my soul
so let’s take the good times as they go
and I’ll meet you further on up the roadBruce Springsteen – Further up on the road
Autunno era pure allora. Punti in palio due, un quarto di secolo, una vita fa. Era la settima e non la dodicesima. Zero vittorie, allora come oggi. E chissà quante volte l’hanno raccontata a chi non c’era. Ma erano tanti, trentacinquemila, tanti più di quanti saranno presenti domenica. Era il 31 ottobre 1998, correva l’anno si scrive. Eppure mi basta chiudere gli occhi, sono lì.
Prima, solo due gol di Breda, uno di Song. Prima, sette giorni prima, il massacro del “Franchi”, due di Battistuta, due dell’animal. Che giri fa, il pallone e la vita, la prossima la giocheremo proprio lì. Comunque, ho ripescato il tabellino:
Boksic e Mancini di qua, Di Vaio e Belmonte di là. Come direste oggi, non ci dovevamo proprio spogliare. Sì, quelle erano le considerazioni di giornata, al netto dell’epica che ammanta i racconti dei nostalgici come me. Chè pure Di Vaio, insieme a Belmonte, si divorò le poche occasioni che la poderosa retroguardia avversaria concesse. Quella Lazio arrivò seconda, alla fine del torneo.
Autunno era, autunno sarà domenica. Inferno di classifica era, inferno di classifica sarà. Però – mi basta chiudere gli occhi, sono lì – ricordo tanto ingenuo coraggio. Non c’erano le quote dei bookmaker a metterti le mani sulla testa. Tanta ingenuità meritava un premio.
Ingenuo coraggio sul prato, ingenuo coraggio sugli spalti, la Salernitana la tenne viva, quella gara. Incurante della sassata scagliata da Siniša sul legno. Incurante di Mancini che battibeccava con Treossi chiedendo tutela. Incurante.
Incuranti ed ingenui, la tenemmo viva. E tanta ingenuità meritava un premio.
Minuto 88, non badate agli annali. Nessun essere umano presente sul terreno di gioco spinse il pallone alle spalle di Marchegiani. Sì, Pelè Tedesco la mise, deliziosamente, in area, quella palla. Negro tirò giù – e sarebbe stato fallo da rigore – Di Vaio. Che si avvitò senza toccarla. Bolic corse col pugno alzato a metà campo. Neanche lui l’aveva toccata.
Marcatore, allora, chi? Io da tempo ho risolto l’arcano, e non c’è bisogno che sveli il nome del goleador, ché ebbe trentacinquemila nomi.
Ingenuo coraggio si chiamava il goleador. Negli ampi spazi che ci saranno sugli spalti di domenica ci sarà un posticino libero per lui, o per un suo nipotino. Non servirà neanche un sediolino, se ricordo bene la partita la guardava in piedi.
Disclaimer: si fa espresso divieto di citare nei commenti l’esito finale di quella stagione. L’ingenuo coraggio, se c’è, vive solo solo per 90’ minuti più recupero. E rinasce il giorno dopo, per altre 26 (ventisei) volte ancora.
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