Editoriale

Con il compitino da vittima designata non si va da nessuna parte.

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Si sapeva che la Fiorentina avrebbe fatto la partita della vita.

Quattro sconfitte nelle ultime cinque gare, rappresentavano un biglietto da visita per la determinazione da scatenare sul terreno di gioco.

La vittoria contro la Lazio, con contestuale aggiustamento della graduatoria, non aveva nascosto, neppure agli ottimisti incalliti, la difficoltà dell’impegno al ‘Franchi’.

Gli uomini di Italiano, quando sono motivati e concentrati, possono battere anche avversarie con uno spessore tecnico superiore a quello della compagine granata.

Non c’è stata contesa, i ragazzi di Inzaghi sono stati surclassati in lungo e in largo.

Gli unici momenti di tregua al calvario calcistico vissuto, a ben vedere, sono legati soprattutto all’appetito placato di Bonaventura e compagni.

Una sazietà che è svanita allo squillo d’allerta emesso, ad inizio ripresa, da Mazzocchi e Ikwuemesi. Il pallone, strusciato di testa dal nigeriano, ha terminato la sua corsa sulla traversa della porta difesa da Terracciano.

I calciatori gigliati hanno compreso che troppo rischiosa si sarebbe rivelata una gara di mera gestione.

Redarguiti da un tarantolato Italiano, hanno ricominciato a pigiare il piede sull’acceleratore, impiegando poco tempo a domare definitivamente gli scarsi argomenti tecnici a disposizione della truppa campana.

L’ennesima percussione sull’out mancino di un incontenibile Sottil si è tramutata in un cioccolatino già scartato per il famelico Bonaventura.

Tre a zero e gara da consegnare agli archivi. Prima di intraprendere l’ennesima settimana di passione, che caratterizzerà la vigilia del delicatissimo match interno contro il solido Bologna.

Novanta minuti contro un collettivo tatticamente organizzato, ottimamente guidato da un Thiago Motta sempre più quotato sul mercato delle panchine.

Un gruppo, quello rossoblù, ricco di valori tecnici, atletici e temperamentali, ma anche munito di interpreti in possesso di estro e imprevedibilità.

A calpestare l’erba dello stadio salernitano sarà una squadra desiderosa di avvicinarsi ulteriormente alle posizioni di alta classifica. Provando a recuperare i due punti svaniti nel rocambolesco finale della trasferta in casa del Lecce; lunghezze che avrebbero regalato agli emiliani addirittura la presenza in zona ‘Champions League’.

Ci vorrà una Salernitana sicuramente diversa da quella di ieri, per venire a capo di una pratica assai ostica.

Soprattutto sotto l’aspetto agonistico e mentale. Perché la squadra vista all’opera a Firenze, invece di trarre forza dall’exploit contro la formazione laziale, è sembrata una vittima designata, sin dalle prime battute di gioco.

La provvidenziale boccata di ossigeno di otto giorni prima, infatti, ha consegnato al manto erboso una versione troppo scolastica e scarsamente sanguigna.

Una base di partenza troppo friabile per reggere l’onda d’urto, tecnica e temperamentale, sprigionata dalle elevate motivazioni dei calciatori locali.

Difendersi mantenendo compattezza ed aggressività. Ripartire sempre, eludendo con coraggio, idee e personalità il pressing furioso dei vari Duncan e Artur. Questo sarebbe dovuto essere il canovaccio principale della partita.

La squadra granata, invece, si è posizionata a ridosso dei propri sedici metri, covando la folle ambizione di poter sopravvivere al cospetto della qualità tecnica gigliata.

Una fase difensiva accademica, senza nerbo, priva del tempismo e dell’attenzione necessari per scalare posizioni, raddoppiare marcature, rubare palla e costringere gli avversari a correrti dietro negli spazi.

In poche parole, un complesso scarsamente convinto, non supportato dalla disperata determinazione registrata contro i biancocelesti capitolini.

Gli episodi salienti del match sono più eloquenti di mille parole. Sul rigore viola, dopo un cambio di gioco da destra a sinistra, la mediana granata, troppo apatica, non è scivolata da un versante all’altro. Per Artur è stato fin troppo semplice inserirsi nella voragine e guadagnare il rigore, complice anche l’intervento improvvido e fuori tempo di Pirola.

Due linee piatte, incapaci di portare pressione e muoversi all’unisono, sono state attaccate nello spazio che le separava e sulle corsie laterali. Facilmente aggirate nella loro incapacità di evitare lo sbocco a sinistra, sono state annientate da uno straripante Sottil.

Una precarietà tecnico-tattica e mentale, perfettamente evidenziata in occasione della seconda rete toscana. Incomprensibile la libertà concessa all’ala viola sugli sviluppi di una banale rimessa laterale.

Deficitario anche il presidio aereo dei propri sedici metri: le continue prodezze di Costil a porre rimedio all’assenza di concentrazione e cattiveria sui palloni provenienti dalla fascia sinistra.

Confusione e fragilità riscontrate anche nell’azione che si è conclusa con la terza rete di Bonaventura. Bohinen tenta un dribbling, Coulibaly non lo accompagna, la linea difensiva resta bassa. Il centrocampo viola ruba palla, si fa beffa del ritardo del mediano maliano ed ha gioco facile a sorprendere le mancate marcature preventive della retroguardia granata.

Uno sfilacciamento che, sostanzialmente, ha sortito anche la scarsa capacità di ripartire negli spazi. Perché solo quando sei compatto e coordinato nei movimenti collettivi, riesci a rubare in fretta il pallone e a riproporti avendo più soluzioni di passaggio.

La Salernitana di ieri è uscita dal proprio fragile guscio solo in due/tre occasioni. Sfruttando la velocità di pensiero e di esecuzione di Kastanos e Candreva e l’attacco della profondità di Mazzocchi.

Troppo poco per intimorire una Fiorentina tutt’altro che tranquilla.

Maurizio Iuliano

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