Senza quella non ci sarebbe stata questa. Atalanta-Salernitana del giugno ’95 nacque nel gennaio precedente all’Arechi. In piena crisi la Dea, addirittura in odore di esonero Mondonico. A Salerno la tenne in piedi Daniele Fortunato con una rete nel finale. Da lì, spinta da cento mani e cento piedi, la Dea iniziò la sua rincorsa. La Salernitana, invece, pur giocando un calcio toccato dalla grazia, fallì un numero incredibile di match-ball, arrivando alla partita decisiva con un solo risultato a disposizione.
Non sapevamo nulla della serie B, il profumo di A fu colla sniffata per una città intera. E neanche di treni speciali sapevamo. Mi ricordo la fila all’agenzia turistica per comprare il biglietto ed il pranzo – il peggiore della mia vita, mi feci restituire i soldi – per il viaggio dei sogni. Adesso lì vendono apparecchi per sentirci meglio, noi non ascoltavamo niente e nessuno.
Salendo a Bergamo, ebbi modo di imparare che “treno speciale” significava “diversamente deviato e rallentato”. Tanto che quasi non arrivavamo in tempo. Alla stazione non ci fecero neanche passare dall’ingresso principale ma da un cancello stretto. Pioveva. All’ennesimo controllo la pazienza finì, e l’autista della navetta – speciale pure quella – che doveva portarci allo stadio fu gentilmente esortato a muoversi. Entrammo nel tempio della Dea, composto da tubolari e vicinissimo a loro. Cinquemila terroni, scrissero.
Era questo il Paradiso? Io lo so che penserete ad un’invenzione dello scrivente, ma io quella clip la tengo ancora stampata nella mente: un africano in tribuna con la sciarpa nerazzurra saltava e gridava “Terùn terùn”. Quando si dice l’integrazione. Andammo in campo, come ci dissero dagli spalti, con
Chimenti terùn
Grimaudo, Fresi, Iuliano, Facci terùn, terùn, terùn, terùn
Tudisco, Breda, Strada terùn, terùn, terùn, terùn
Ricchetti, Pisano, De Silvestro terùn, terùn, terùn, terùn
Ci dissero che in tribuna c’era il presidente dell’Inter. A fine gara impacchettò Salvatore Fresi per portarselo a Milano.
Quel che accadde in campo, dovreste saperlo bene, altrimenti non sareste qui.
Come bambini davanti ad una pasticceria con le tasche vuote per comprarsi una fetta di quella bella torta, vedemmo passarci davanti la serie A. Sniffatori di colla, non avevamo voluto capire che non era il nostro turno. Luciano Ligabue l’aveva scritta cinque anni prima:
Abbiam sogni però
Troppo grandi e belli, sai
Belli o brutti, abbiam facce
Che però non cambian mai
Non è tempo per noi
E forse non lo sarà mai
Piangemmo un po’ – oddio, non proprio un po’ – ricevemmo l’addio di Delio, ci misero in colonna per un paradossale giro turistico per le strade di Bergamo.
Passando davanti alle scuole, ci venne in mente che si votava per ben dodici referendum abrogativi. Il tredicesimo riguardava noi, e il quorum lo si raggiunse in anticipo.
Puoi andare in serie A? NO
Io lo so che penserete ad un’invenzione dello scrivente, ma io quella clip la tengo ancora stampata nella mente: mentre, dietro le finestre chiuse, ci insultavano, un’intera, numerosa, famiglia di Salerno, tutti in maglia granata, cantava e festeggiava dal proprio balcone come se il referendum l’avessimo vinto, come se fossimo andati in massima serie.
Le strade finirono, il giro turistico pure, il treno molto speciale ci accolse.
Il tempo non fu per noi, forse non lo sarà neanche lunedì. E colla non ne sniffiamo più. Ma quella sensazione di attesa, quel cuore che si rimescola, è patrimonio dell’Unesco. Non l’ha scalfita né quella né questa, e neanche quella più recente e sanguinosa.
Innocenti non più, disillusi forse, ma consapevoli che il tempo che non c’era in realtà c’è sempre stato.
Non ridiamo, non piangiamo
Non amiamo come voi
Troppo ingenui o testardi
Poco furbi, casomai
Il tempo nostro è sempre stato questo. Lunedì alle 20.45 @Gewiss Stadium di Bergamo. Macte animo, Salernitana.
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