26 tiri subiti di cui 10 in porta, un’ammonizione, non un fallo in più degli avversari, un tiro in 90 minuti. Sono i desolanti numeri della Salernitana a San Siro, contro un’Inter la cui grande bellezza ha travolto i granata dell’esordiente Liverani.
Sparring partner
I 50 punti di differenza non solo si sono visti tutti, ma sono apparsi il doppio. Perché la gara del Meazza ha assunto i tratti dell’amichevole estiva, in cui la big di turno gioca la sua sgambata contro lo sparring partner appartenente ad una, due, tre o anche più serie inferiori.
Il problema, però, è che di fronte ci fosse la Salernitana: squadra che, nonostante la classifica e i mille problemi dentro e fuori dal campo, disputa il campionato di Serie A. Giocandolo, purtroppo, in modo abbastanza indegno, come accaduto in tante occasioni, l’ultima delle quali ieri sera.
La premessa – o, se si preferisce, la lista delle attenuanti – è d’obbligo quanto scontata: Calhanoglu e soci sono campioni d’Italia in pectore e tra le migliori squadre d’Europa, e il difficile esordio di Liverani è stato reso ancor più arduo dall’ormai chilometrico elenco di indisponibili in difesa.
Colpe (anche) di Liverani
Poi, però, c’è il campo. E c’è un limite a tutto: la prova offerta a Milano dalla Salernitana è un’offesa alla dignità della sua gente, che ancora una volta non ha fatto mancare il solito sostegno. A rappresentare l’Ippocampo ieri sera è stato un accumulo di giocatori svogliati, privi di grinta, e, a dirla tutta, pure di idee.
Perché se è vero che Liverani abbia allenato la squadra solo per pochi giorni, alcune scelte del nuovo tecnico restano curiose, per non dire discutibili: il 5-3-2 che sa di pullman della speranza, i tre centrali in campo senza cambi in panca, Maggiore da libero, Candreva nella svilente posizione di mezz’ala.
Gara a senso unico
Il body language – più che la prestazione, giocoforza condizionata – del numero 87 fotografa quanto si è visto ieri sera. Senza soffermarsi, naturalmente, sull’ennesima prova abulica di Dia, e sugli atteggiamenti di quest’ultimo e di Coulibaly al momento della sostituzione.
Segni evidenti di una squadra che ieri sera è scesa in campo per non prenderle (più che legittimo), ma ha fatto mancare concentrazione e cattiveria: due componenti cruciali per impostare una partita difensiva. Elementi che con ogni probabilità sarebbero comunque serviti a poco contro l’uragano nerazzurro, ma che quantomeno avrebbero dato più dignità alla prova dei granata.
Invece, sono bastati 20 minuti a fugare ogni dubbio: l’Inter ha fatto otto tiri, preso due legni, e subito dopo sbloccato la partita con le reti di Thuram e della bestia nera Lautaro. Gol arrivati con la complicità di una squadra molle sui diciotto (diciotto!) corner a sfavore, aperta in due dalla manovra di Barella e compagni, e terribilmente distratta in occasione della rete del Toro, emblematica perché nata da una banale rimessa laterale.
Il turnover di Inzaghi in chiave Champions e le parate di Ochoa (meno brillante del solito ma pur sempre determinante) hanno evitato un passivo peggiore. Risultato che, francamente, sarebbe stato sacrosanto. La goleada contro l’Inter è ormai abitudine, ma stavolta abbiamo assistito ad una delle peggiori gare disputate dalla Salernitana in questo triennio di massima serie.
Figuraccia con pochi eguali
Lo 0-4 dell’andata arrivò solo grazie a un Lautaro deus ex machina. Nel 5-0 di due anni fa l’Inter sbloccò la partita – per poi dilagare – non prima che i granata di Nicola sciupassero la colossale chance del vantaggio con Verdi. Gara in cui, comunque, il suicida 4-2-3-1 del tecnico piemontese fece assumere ai granata i tratti di una squadra militante in massima serie.
E persino lo 0-5 subìto dalla Salernitana del trust (specializzata in umiliazioni) fu meno mortificante: la squadra di Fiorillo, Bogdan, Gagliolo, Delli Carri e Obi riuscì a fare due tiri nello specchio della porta contro un’Inter ingiocabile tanto quanto quella di oggi, nonostante lo Scudetto buttato a fine stagione.
Ieri, invece, non sono bastati Dia, Candreva, Coulibaly, Basic, Tchaouna, Zanoli, Kastanos e nemmeno Weissman. A proposito di responsabilità di Liverani, lasciare in panchina in questo quadro un calciatore come l’israeliano, che trasuda voglia di correre e spaccare il mondo, è un’altra scelta di difficile comprensione.
E ora quale scenario?
Da qui, il punto. Azzerata l’Inter (si fa per dire, ché una figuraccia con quattro palloni sul groppone non si elimina così facilmente), la Salernitana dovrà affrontare Monza, Udinese, Cagliari e Lecce. Quattro partite che sanno di ultima chiamata, almeno per coloro i quali (in pochi) confidano ancora nel 3,5% paventato da Sabatini.
Quattro gare in cui la domanda non può che essere una: meglio metter dentro chi ha fame ma meno qualità oppure continuare ad insistere con chi è forte ma fin qui ha fatto mancare la voglia? Il Liverani-pensiero lascia presagire la prima opzione, ma solo il campo rivelerà l’efficacia della soluzione, qualsiasi essa sia.
Di certo c’è che prove come quella di San Siro sono la cartina di tornasole della condotta della società granata: un trionfo di sciatteria e approssimazione, i cui effetti furono mitigati (con merito) l’anno scorso, salvo poi palesarsi nella peggior maniera possibile in questa stagione.
La quale, tra infortuni, mal di pancia, sfortune, indice di liquidità e mille altri disastri rischia di imboccare un finale più triste di quanto immaginabile. Perché, continuando così, la Salernitana non solo arriverà in Serie B (che di per sé sarebbe già un bagno di sangue), ma lo farà retrocedendo presto e male. E, soprattutto, mestamente e senza lottare: nel calcio forse non c’è cosa peggiore.