La Salernitana che si appresta a disputare le ultime tredici gare della stagione è una sorta di podere agricolo squassato da una violenta tempesta. Alberi divelti da raffiche di vento, raccolti spazzati via da grandine e pioggia battente, baracche rase al suolo con tutto ciò che custodiscono.
Quando simili calamità si abbattono sui sacrifici del contadino, non resta altro da fare che prendere atto della situazione. E, subito dopo, rimboccarsi le maniche e operare per rendere nuovamente produttiva la terra.
Ma, prima ancora di procedere alla semina, bisogna liberare il terreno da tutte le macerie organiche e inorganiche causate dall’inclemenza climatica.
Ed ancora non si è fatto nulla, perché poi bisognerà armarsi di sangue, lacrime e sudore per arare gli ettari dell’intero fondo destinato alla coltivazione.
Volendo rapportare il tutto al momento vissuto da Candreva e compagni, il primo step da compiere sarebbe la consapevolezza del concorso di colpe che ha quasi annientato questo campionato.
Superficialità societaria nei processi decisionali e gestionali. Impegno non sempre totale da parte di diversi calciatori presenti in organico. Allenatori più interessati a curare ambizioni smodate o complessi di inadeguatezza per una carriera che non decolla.
Meditare su questo passaggio significherebbe ripartire dall’umiltà dell’uomo che riconosce i propri errori e si attiva per riconquistare la dignità smarrita.
Perché solo la piena coscienza di essere nel torto può indurti ad affrontare, dignitosamente e rabbiosamente, l’ultimo segmento stagionale.
Altrimenti la ricerca del risultato sarà soltanto una sterile dichiarazione d’intenti, che impiegherà poco tempo ad essere annichilita dalla prima difficoltà tecnica procurata dall’avversario.
Il risultato positivo, che nel nostro parallelo corrisponde alla risemina del podere agricolo rimesso in ordine, non potrà mai maturare senza essere preceduto da altri fondamentali passaggi.
Sottoporre severamente il proprio operato al tribunale della coscienza è la base su cui fondare la rivolta intima individuale da porre al servizio della squadra.
Tante rivolte intime individuali, frutto di altrettante autoanalisi esigenti e spietate, dovranno essere virilmente capaci di guardarsi negli occhi, unirsi e creare un autentico spirito di gruppo.
Lo si deve ad una tifoseria che, incurante e all’oscuro delle innumerevoli paturnie dei protagonisti, non ha mai smesso di percorrere migliaia di chilometri. Nonostante l’anima lacerata e le tasche rese sempre più sanguinanti da viaggi economicamente proibitivi.
Bisogna ritrovare l’abc del saper vivere, se davvero si vuol provare ad inseguire l’impresa. Bisogna sentirsi in debito con se stessi e, soprattutto, con i propri sostenitori, che stanno attraversando mortificazioni e dolori senza soluzione di continuità.
Bisognerà essere uomini estremamente consapevoli delle proprie omissioni e fermamente intenzionati, nell’ultimo terzo stagionale, a riguadagnare lo specchio attraverso il quale potersi guardare senza abbassare il capo.
Di questo si tratta, non di deficienze tecniche. Di tempo n’è rimasto poco. E’ giunto il momento di iniziare a restituire qualcosa, dopo aver immeritatamente ricevuto tanto.