Dammi riva!
Alcuna alternativa al vincere, vittoria è stata.
Il Genoa perde pezzi, finanche nel riscaldamento. Mattia Destro si concede un pomeriggio in Tribuna Vip, Flavio Bianchi sfila via la pettorina. La Salernitana — pur non godendo di dolci declivi in fuga verso il mare — fa sua la posta.
Ben poche carezze, più che altro scontri: per l’onore di chi ci prova, pur rendendosi virale nel pre-partenza fra le scale di Brignole.
Salerno e Genova, del resto, rappresentano città che tutto devono alla salsedine, ai pontili e alla ruvidezza del carattere. Entrambe meridionali, a dispetto di quella geografia che colloca i rossoblù al vertice estremo del grande triangolo industriale.
Meridionalità anomala espressa dai due condottieri: da un lato Castori, dall’altro Ballardini; entrambi, comunque, capitani devoti all’ultima spiaggia.
Burrasche forti prediligono uomini forti, soli e simili. Non ci si lasci infinocchiare dalla mise en place, dal vestiario antitetico: remake dei Malavoglia l’uno, indole da Die Hard l’altro.
Il minimo comun denominatore — fil rouge lungo una vita — è il pragmatismo, la cura maniacale per quell’arte inseguita da pochi, bistrattata da tanti, insegnata alla cattedra dell’arrangiarsi: scavare sul fondo del barile.
Chi si aspettava una gara bloccata può ritenersi soddisfatto: per nulla speculare il modulo, il coefficiente tecnico sì.
Pronti via, prima palla sporca: Gondo calcia a botta sicura, fra collo piede e pallone si frappone il malleolo di Criscito. Lo stesso Criscito che poi, qualche singhiozzo più in là, affila la contraerea per abbattere il Signor Mariani.
Poco spazio allo spettacolo — non è una novità — fino alla mezz’ora, quando Coulibaly e Gagliolo si ispirano ai manga giapponesi per costruire la palla gol più ghiotta: bicicleta e volée mancina, tutto tanto bello quanto fuori misura.
Passano appena due minuti e Kastanos testa la reattività di Sirigu, Campione d’Europa che passa dal green di Wembley al verde balbettante dell’Arechi. Sulla respinta Le Roi, in disarmo, si sfila la corona e sparacchia lassù: alle spalle della Nord, laddove osano le Cardioaspirine e gli Ecodoppler.
Cartolina di un primo tempo avaro di attrattiva: Ranieri recupera palla in bello stile sulla trequarti del Grifone e la Salernitana va da zero a cento in tre secondi, ma a ritroso fino a Belec.
Duplice fischio, anche i granata perdono effettivi, così una mediana già monca — fin dai corridoi del Meliá — deve fare a meno dei due omonimi: Coulibaly al quadrato.
Qualcosina in più, appena due sinistri — velleitari e poco convinti — sotto il grugno degli zeneise: blocca la Sud (orfana delle sue reti) e blocca anche Sirigu.
Arriva Di Tacchio, capitano defraudato della fascia ma non dello spirito. Suona la carica e Salerno ci crede, crede in quel fottuto miracolo che costa litri di sudore per tre misere lunghezze. È la vita, è il calcio.
È di quel qualcosina, dunque, che si nutrono le ambizioni: eccola la rivelazione che non ti aspetti. Si spinge, si realizza e poi si soffre: eccome se si soffre.
Il liquore è il succo proibito della vittoria. Macerano le erbe, l’etanolo avanza indisturbato nelle vene. Eccoci, pronti a subire quel richiamo atavico che esonda dalle gradinate al gol non gol del granatiere di Tuzla.
Sessantasei, come i giri di lancetta. Corner tagliato di Kastanos, Djuric anticipa tutti sul primo palo. Che l’abbia colpita o meno poco importa, è il sacco che si gonfia a stuprare l’ugola.
I due volti del vincere: gioire e spergiurare. Si passa dal fendente di Ciccio Di Tacchio — che incrina montante e cuffia dei rotatori di Sirigu — all’assedio in salsa genoana.
Interno pomeriggio, apnea totale. La Siberiano rizza le vele e si fa tempesta. La ciurma di Castori, controsole e sorte in poppa, infila la spranga nel portellone e si rintana sottocoperta, al riparo dalle mareggiate. C’è chi sparacchia e chi prega, qualcuno — uscendo stremato — commuta i fischi in applausi.
Il cronometro, nemico giurato del sollievo, scorre lento. Ci pensa Belec, in più occasioni, a rispedire al mittente il veleno.
Triplice fischio, balsamo per la classifica: sui bassifondi resta il Cagliari e le gote riacquisiscono il rossore perduto.
Sarebbe bello crederci fino in fondo, resta un solo pachidermico particolare: la cessione societaria. Intanto il calendario frulla via veloce, il 31 dicembre è dietro l’angolo. L’ombra capitolina si staglia ancor più lunga sul selciato: evidenza del tramonto?
Macte Animo Salernitana, oggi ancor di più!