Quando sai di dover giocare tre partite in meno di una settimana, decisive per raggiungere un obiettivo ritenuto inimmaginabile appena un mese prima, sei perfettamente consapevole che ti tocca abbracciare la sofferenza atletica e la pressione psicologica e continuare il viaggio a testa bassa, tirando fuori tutto quello che ancora conservi nel serbatoio sotto forma di energie mentali, fisiche e motivazionali.
E questa consapevolezza si è tradotta anche sul terreno di gioco, con una Salernitana che ha alternato saggiamente intensità e gestione, strappi e controllo del match, giocata del singolo e sacrificio collettivo.
I granata sono piaciuti soprattutto nel primo tempo, quando hanno esibito una veste diversa rispetto a quella indossata a Bergamo. Non più ricerca continua e convinta del pressing e della verticalizzazione, ma tanto possesso palla da imporre all’avversario attraverso una compattezza figlia di un palleggio che riusciva a legare i reparti, in attesa di liberare lo spiraglio giusto in cui infilarsi per arrivare al tiro o di trovare il tempismo per incunearsi nell’area di rigore veneziana.
Fazio pronto a sganciarsi dalla linea di retroguardia, Bohinen e Bonazzoli spesso posizionati sulla stessa verticale per calamitare centralmente la densità lagunare e sgombrare fette di campo al movimento senza pallone di Ederson, Coulibaly e Mazzocchi. Una strategia che ha sortito un duplice effetto positivo: far correre di più la sfera di cuoio e meno le gambe; costringere il Venezia a subire la superiorità numerica, inaridendolo nel suo necessario proposito di condurre le danze e conquistare tre punti in grado di farlo rientrare pienamente nella lotta per la permanenza in serie A.
La stanchezza granata, però, si è fatta sentire, perché non sempre il copione pianificato alla vigilia è stato supportato dalla brillantezza fisica, con qualche inevitabile difficoltà registrata nei tempi e nelle scelte delle giocate che ha impedito alla squadra di essere lucidissima nel suo tentativo di chiudere la partita in anticipo.
La volontà di imporre immediatamente il gioco è stata invece premiata con la conquista del penalty, agli albori del match, freddamente realizzato da un Bonazzoli ormai prossimo a toccare la doppia cifra realizzativa.
Nei secondi quarantacinque minuti, l’accumulo di acido lattico si è avvertito maggiormente nei muscoli dei calciatori di casa, ed anche la tensione emotiva, dettata dalla consapevolezza di dover difendere strenuamente l’intera posta in palio, ha reso la gara più complessa. Anche perché il Venezia, ormai sul punto di vedersi destinato ad un naufragio senza possibilità di salvezza, si è liberato parzialmente delle sue paure ed ha cercato di reperire giocate connotate da maggiore rapidità e superiore incisività offensiva, nuove opzioni tattiche rispetto al al 3-4-3 di partenza, anche pescando tra le seconde linee sedute in panchina.
Il campanello d’allarme squillato sulla conclusione di Okereke neutralizzata dall’ottima parata di Sepe, pochi secondi dopo è stato seguito dall’azione letale targata Caldara-Henry, con il centravanti francese abile a depositare in rete da pochi passi la respinta di Sepe sul colpo di testa dell’ex centrale difensivo atalantino.
Per qualche attimo, il silenzio è piombato sullo stadio Arechi, perfettamente consapevole della difficoltà della squadra a reperire ulteriori risorse atletiche e mentali da spendere in funzione di un nuovo protagonismo offensivo.
Nicola, a questo punto, è stato bravo a gettare nella mischia Simone Verdi, che ha impiegato appena cinque minuti ad infiammare la tifoseria di casa, realizzando un altro gol di ottima fattura, un condensato di qualità e coordinazione (eccezionale lo stop che ha addomesticato il pallone dopo il contrasto vinto da Ederson), potenza, precisone e freddezza (il tiro che non ha lasciato scampo all’estremo difensore Maenpaa).
Le ultime fasi della gara, caratterizzate da un Venezia caoticamente proiettato con molti uomini a ridosso dei sedici metri granata, sono stati mal tollerati dalle coronarie dei supporters dell’Ippocampo. Fazio e compagni hanno indossato l’elmetto, si sono sacrificati difensivamente anche grazie alla capacità di soffrire esibita dagli uomini di maggiore qualità (Verdi e Perotti), si sono avvalsi del contributo offerto dagli altri calciatori subentrati a gara in corso (Belec, Ruggeri e Kastanos) ed alla fine sono riusciti a custodire i preziosissimi tre punti che, per la prima volta in questa stagione, consentono di valicare la zona retrocessione.
Superfluo ricordare che la strada da percorrere resta disseminata di ostacoli e difficoltà. A partire dal prossimo cimento contro il Cagliari, ancora più arduo e decisivo di quello appena passato agli archivi.
Perché i sardi hanno una cifra tecnica sicuramente superiore rispetto a quella del Venezia e, soprattutto, affronteranno il fondamentale spareggio salvezza con due partite in meno nelle gambe.
La Salernitana ed i suoi tifosi lo sanno benissimo, utilizzeranno le prossime settanta ore, quelle che separano dal match contro Joao Pedro e compagni, per curare scrupolosamente ogni dettaglio, dentro e fuori il rettangolo verde.
Il passaggio da una realtà lungamente sofferta ad una dimensione finalmente estatica è tutto concentrato nei prossimi novanta minuti.