di Michele Cangianiello
Miracoli? Non da queste parti.
Il sud del calcio è da sempre figlio di un Dio minore e quest’ennesima annata ne ha dato dimostrazione in alta classifica.
Ma se al vertice del palazzo gli equilibri si spostano solo dei pochi chilometri necessari tra il Piemonte e la Lombardia, nei bassi fondi questa stagione ha qualcosa da raccontare.
Senza timori da blasfemia, la chiave di lettura biblica attribuita a questa narrazione parte dalla sana vocazione di un allenatore con un passato dal gomito alto e grinta da vendere. Ma soprattutto da una promessa da pellegrino. Fatta e da mantenere.
Davide Nicola è arrivato a Salerno il 15 febbraio di questo stesso anno, con un cambio societario, 12 punti dalla quota salvezza e poco più di tre mesi a disposizione.
Un quadro clinico da terapia intensiva con minimo margine di sopravvivenza.
Eppure questo allenatore dalle imprese impossibili si è abbracciato alla croce di un disperato 7% ed ha conquistato una delle salvezze più insperate che il calcio italiano possa raccontare nell’ultimo decennio.
Se la nuova Salernitana di Iervolino può aggiungere un’altra gloriosa pagina ad una storia che dura dal 1919, lo deve principalmente alla caparbietà di un giovane cinquantenne da Luserna San Giovanni, con pochi sponsor alle spalle e arrivato tardi sulle panchine della massima serie.
Dopo l’impresa sulla panchina del Crotone, Nicola ha fatto innamorare la Campania granata realizzando il sogno di una città che, dopo il tanto agognato ritorno in serie A, non ha mai smesso di sostenere i propri colori in una delle stagioni più difficili del post-fallimento.
Al sol dell’avvenire, dunque, il futuro della Salernitana è lastricato di ottimismo e buone intenzioni.
Sulla strada che conduce da Salerno al Vaticano, Nicola potrebbe essere accompagnato dal percorso mistico di chi spera nell’inizio di una nuova era.
E seppur del doman non vi è certezza, Davide Nicola è sicuramente il punto fermo da cui la Salernitana deve ripartire.