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Una Salernitana operaia riscopre l’aristocrazia dei suoi attaccanti. Umiltà e serenità per ritrovare la retta via

Le recenti prestazioni scialbe e caotiche hanno imposto al gruppo e allo staff tecnico un'attenta analisi della situazione. La squadra vista all'opera contro il Verona, pur soffrendo a lungo, ha ritrovato compattezza tattica, ardore agonistico e la prolificità qualitativa di un reparto offensivo assortito e di spessore. Ottimo viatico per il proibitivo tour de force che attende Nicola ed i suoi uomini.

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La Salernitana soffre a lungo contro il Verona, ma alla fine conquista tre punti di inestimabile valore. Perché essi regalano sollievo vitale ad una classifica che cominciava a destare qualche preoccupazione di troppo e, soprattutto, perché i match che separano gli uomini di Nicola dalla fine del girone d’andata dovranno essere affrontati contro l‘élite del calcio italiano.

Consapevolezza che rende preziosissimo, al termine dell’ottava giornata, il vantaggio ottenuto in graduatoria sulla folta concorrenza. Un gap che aiuterà il gruppo granata a gestire con maggiore serenità incontri che si presentano proibitivi sulla carta.

Dopo i sette gol subiti in due partite, contro Lecce e Sassuolo, accompagnati da un preoccupante sfilacciamento tattico e da una condizione psicofisica contrassegnata da stanchezza nervosa e un’insicurezza di fondo che imbrigliava motivazioni ed idee, il trainer dell’Ippocampo ha lavorato sodo in settimana per restituire al prato verde una compagine calcistica in grado di svestire i panni troppo ingombranti di frettolosa outsider del torneo e indossare quelli più appropriati della classe operaia pallonara.

Via leziosità fini a se stesse, giocate e movimenti troppo spavaldi e quasi sempre figli di orticelli personali, per lasciar nuovamente spazio alla necessità di ragionare collettivamente e con ardore per ricollocarsi sulla retta via di una salvezza tranquilla, da conquistare affidandosi ad umiltà, compattezza e spirito di sacrificio.

La gara contro gli scaligeri, per qualità di gioco, non occuperà un posto di rilievo nel corposo archivio della storia granata, ma sarà sicuramente ricordata per l’intensità emotiva ed agonistica espressa dalla squadra, desiderosa di ritrovarsi e riappropriarsi della leggerezza mentale esibita ad inizio stagione. Due componenti che, accompagnate dal ricordo dei tremori patiti di recente, dovrebbero scongiurare il pericolo di nuove superficialità e suggerire alla società di non esercitare eccessive pressioni su una squadra che ha bisogno di lavorare serenamente per esprimere anche un calcio di ottima fattura.

Il valore tecnico abbonda all’interno dell’organico, gli investimenti effettuati in sede di mercato schiudono scenari futuri invitanti, ma la costruzione di un progetto ambizioso deve procedere pazientemente, se non si vuol sciupare tutto trasformando legittime aspirazioni in precipitose e nocive pretese.

L’ottimo avvio di campionato, il doppio vantaggio maturato al termine dei primi quarantacinque minuti in casa della Juventus, avevano alimentato qualche sogno di troppo e fatto smarrire il contatto con la realtà. Le notevoli difficoltà attraversate nelle gare casalinghe contro Lecce ed Empoli e la sonora scoppola in terra emiliana, patita davanti a circa cinquemila tifosi, hanno costretto tutti a ridimensionarsi per evitare di accumulare nuove macerie.

La ricostruzione è partita, sperando che la lezione sia servita e suggerisca di procedere con gradualità, mattoncino dopo mattoncino. Il tempo del raccolto è ancora lontano, i frutti sono gradevoli e succosi quando giungono a maturazione, quello granata è ancora acerbo e bisognoso di crescere attraverso cure meticolose e la saggezza della moderazione.

La partita. Nicola presenta in campo la squadra con il 3-5-2, il modulo di sempre, ma questa volta, scottato dalle ultime prestazioni, abbandona i principi dell’aggressione e degli inserimenti a tutto campo, uomo contro uomo, ed ordina ai suoi ragazzi di recitare un copione tattico decisamente diverso. Gli esterni intermedi (Candreva e Mazzocchi), infatti, in fase di non possesso si allineano ai tre centrali difensivi per comporre un solido reparto a cinque, mentre i tre centrocampisti (Coulibaly, Radovanovic e Vilhena, quest’ultimo subentrato immediatamente all’infortunato Maggiore), posizionati nella propria trequarti, fungono soprattutto da diga di presidio davanti alla difesa.

Una strategia conservativa che chiede sacrificio e tanta legna anche alle due punte (Bonazzoli e Piatek), le quali hanno il compito di intralciare la costruzione dal basso del Verona ma anche di arretrare sotto la linea del pallone per fare densità, occupare lo spazio lasciato incustodito dalle mezzali che scalano sulle fasce e rendere meno agevole il giro palla scaligero.

Nicola, saggiamente, decide di non regalare profondità e gioco tra le linee al Verona, che schiera ottimi palleggiatori (Tameze e Veloso) e due trequartisti (Verdi e Hrustic). Il pressing non è più alto, ma viene esercitato a trenta metri dalla porta, con Daniliuc che annulla Henry, mentre Gyomber e Pirola escono in pressione sui trequartisti veneti che agiscono nelle loro zone di competenza. Quando Verdi e Hrustic escono dai blocchi difensivi e si abbassano, le loro evoluzioni sono controllate dai mediani e dagli attaccanti che danno manforte al centrocampo.

Verdi è desideroso di farsi rimpiangere, concede pochi punti di riferimento, è abile a muoversi con e senza palla, ma le sue giocate respirano solo quando egli opera esternamente e lontano dall’area di rigore locale. La squadra di Cioffi mantiene il controllo delle operazioni, però si rende pericolosa solo con un’incursione di De Paoli sventata in uscita da Sepe e con un colpo di testa che timbra lentamente la traversa sugli sviluppi di una palla inattiva.

Nicola sa anche che bisogna pazientare, in attesa di sprigionare la qualità degli attaccanti e la gamba dei suoi cursori (Colibaly e Mazzocchi) per strappare e creare problemi alla difesa gialloblù e alla condotta di gara spavalda dei veneti. Ed alla fine viene premiato dallo splendido lavoro eseguito da Bonazzoli e Piatek, con quest’ultimo che si invola prepotentemente in area ospite e batte Montipò.

Ad inizio ripresa, Cioffi inserisce Djuric al posto di uno spento Henry e chiede ai suoi uomini di attaccare a pieno organico e intensificare la velocità di circolazione della palla. Il Verona prova a sfondare soprattutto a sinistra, dove Ceccherini, braccetto mancino di difesa, e uno dei due trequartisti supportano l’arrembante Doig, mettendo sovente in inferiorità numerica la catena di destra granata.

La Salernitana, pur non correndo grossi rischi, si abbassa troppo e non riesce a ripartire con gli attaccanti. Pressata, preoccupata di condurre in porto la vittoria, la squadra viene aggredita dalla tensione e si lascia sorprendere banalmente da un cross di Doig che trova l’inserimento vincente di De Paoli ma non la diagonale di facile lettura di Mazzocchi.

I calciatori di casa subiscono il colpo, però Nicola è tempestivo nell’operare il doppio cambio offensivo (Botheim e Dia), che rimette per qualche minuto il match in equilibrio. La partita diventa aperta, la vivacità dei neo entrati restituisce un po’ di intraprendenza ai padroni di casa, che provano a spingere anche sulle corsie esterne, soprattutto con Mazzocchi il cui tiro, destinato in porta, trova l’involontaria opposizione di Candreva.

Però i calciatori locali, stanchi e contratti, non riescono a dare continuità alla loro proposta offensiva, mentre il Verona inserisce i giovani Kallon e Kakari, che alzano i ritmi e l’imprevedibilità della manovra, e diventa quasi padrona del campo. Cioffi vuole vincerla, gioca con una sorta di 3-2-5 che mette alle corde la Salernitana, salvata dal palo sulla conclusione di Verdi.

Alla fine, però, a far festa è la Salernitana, grazie alla seconda giocata di lusso della partita partorita dalla coppia di punte. Dopo la performance del primo tempo di Bonazzoli e Piatek, ci pensano Botheim e Dia a deliziare la platea dell’Arechi con un assist e un interno sinistro a giro che non lasciano scampo all’immobile Montipò.

Il match termina con un interrogativo e una convinzione. Il primo è legato ad un possibile peccato di presunzione degli ospiti, che, accecati dal desiderio di vittoria, hanno colpevolmente dimenticato le qualità degli avversari. La seconda, invece, ci conforta nella riscoperta di un’antica legge del calcio: quando possiedi attaccanti di valore superiore alla media, bisogna solo registrare la fase difensiva per raccogliere con maggiore frequenza gol, punti e vittorie.

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