Su una stagione di 70 partite ne facevo 65 e davo sempre tutto. Per me era impossibile accettare di stare fermo per un infortunio. Forse se tornassi indietro starei più attento a me stesso, ma alla fine neanche troppo. Mi piaceva segnare, sentire il boato del pubblico.
Ladies and gentlemen, let me introduce to you mr. Gabriel Omar Batistuta.
Che ancora me lo ricordo il male di capa che mi fece prendere all’andata. Non era un giocatore, era qualcosa che travalicava i confini dell’umano. E fa niente che me ne tornai a Salerno, impurpato d’acqua con 4 goal e con la convinzione che avevamo giocato contro una corazzata che poteva vincere lo scudetto.
Ho visto il film uscito su Amazon Prime “El numero nueve”.
E da questo film viene fuori un ritratto di Batigoal che non ti aspetti. Non quello del supereroe che segnava a Wembley. Racconta il dolore, la paura e la malinconia di un uomo che, seppur arrivato e nonostante avesse raggiunto i suoi sogni sportivi, ha dovuto combattere contro il dolore. Quello fisico, per colpa delle caviglie da ottantenne.
Quella specie di scelle di pollo che vedete sono le sue caviglie. Che non avevano più cartilagini per colpa dell’usura e delle troppe infiltrazioni.
Il dolore che lo porterà a dire «va bene, amputatemi i piedi». Il dolore, quello peggiore, quello che abbiamo nell’anima, la sofferenza dell’uomo che ebbe ai suoi piedi tre città, una in Argentina, due in Italia e che era costretto a letto ad urinarsi addosso perché non riusciva a scendere e arrivare con le proprie gambe al bagno.
Il racconto è quello di un uomo e della sua ascesa nel mondo del calcio, dei principi di suo padre e di sua madre che prima di mangiare ringraziano Dio, del rapporto trentennale con #IRINATEAMO, di come sia moglie, amica, sorella, di quanto una donna possa mettersi in ombra in pubblico ma di quanto in privato sia la luce del proprio uomo.
Alla faccia delle varie Ferilli.
È la condivisione di un viaggio prima a Firenze, la sua città, i loro ricordi fatti di mangiate di minestra e melone, del calore di Firenze e dei fiorentini. Il tutto raccontato mentre passeggiano per il centro di Firenze di notte (perché mi sa che se lo faceva di giorno ci stava l’arrevuoto)
Dei proprietari che trattavano con grandi attori ma che in realtà erano dei guitti.
E il mancato scudetto viola. Ma che lo andrà prendere a Roma in uno degli scudetti più belli mai visti per partecipazione popolare.
Poi via da Roma (non prima di aver fatto tozzoliare un paio di volte la capa di Cassano su un bancone del bar di Trigoria per un dito messo nel caffè).
L’ Inter e il dolore che lo mette in fuga dall’Italia. Il suo ritorno a Reconquista dove diventa imprenditore agricolo, dove ha il suo barrio, dove è Gabriel non l’idolo delle folle. Delle gite in motoscafo lungo il fiume, delle giornate a cavallo a giocare a polo, del suo amore per il golf, dei suoi figli, l’attore e il commesso in una copisteria.
E poi il finale con il medico che si lava e stringe le mani forte raccomandandosi al Dio del bisturi. Il primo passo con la caviglia nuova.
Batistuta a 51 anni è diventato nonno.
Si, finalmente qualcuno da rincorrere di nuovo.
Buona corsa campione.