La lettura del “Report Calcio 2023 – Il censimento del calcio italiano”, il rapporto annuale sul calcio italiano, sviluppato dal Centro Studi FIGC in collaborazione con AREL (Agenzia di Ricerche e Legislazione) e PwC, è l’occasione per una riflessione di più ampio respiro sul futuro delle società di calcio in Italia.
Il punto di partenza del ragionamento è che le Società di Serie A, B e C hanno riportato una perdita aggregata di circa 4 miliardi di euro nelle quattro stagioni dal 2018-2019 al 2021-2022.
Un risultato che è dovuto, sostanzialmente, alla crescita dei costi, dinamica che le Società non sono riuscite ad arginare con un aumento dei ricavi in quanto questi ultimi sono ancora dovuti, in maniera sensibile, solo ai diritti televisivi.
E se il Covid ha certamente pesato sull’esposizione debitoria, l’andamento dei ricavi non consente di elevare la pandemia a capro espiatorio della situazione.
Il debito delle società di calcio è in gran parte costituito da finanziamenti effettuati dagli stessi soci, utilizzati per ripianare le perdite d’esercizio, ed il perdurare di questa situazione rende sempre più difficile per tante società far ricorso alle risorse della proprietà.
Quali le alternative.
Una soluzione molto praticata è quella del ricorso al factoring per la cessione dei diritti tv o di altri ricavi, quali, ad esempio, le sponsorizzazioni.
Il sistema bancario è in genere più propenso a concedere finanziamenti attraverso lo strumento della cessione del credito rispetto a quanto accade con altre forme più rischiose di finanziamento.
Altra possibilità che hanno le società di calcio è quella di sfruttare in maniera più profittevole il marchio o di sviluppare l’e-soccer, cioè il calcio sui videogiochi. Una indagine di Deloitte dimostra che l’Italia è tra i Paesi europei dove gli e-sports hanno maggiore presa sul pubblico.
Infine vi è chi, per ampliare i ricavi, ha lanciato la squadra femminile.
Una strada più significativa per aumentare e diversificare i ricavi passa, invece, da una gestione diversa degli stadi.
Bisogna, però, subito evidenziare che puntare sullo stadio per incrementare i ricavi è un investimento che porta a risultati solo nel lungo periodo, per cui non è certamente la strategia migliore se vi è un problema attuale di rapporto tra costi e ricavi.
Qualche anno fa la strada imboccata da alcune squadre era quella della quotazione in Borsa del club; una strada il cui appeal si sta perdendo perché la performance non troppo lusinghiera dei titoli e la stessa volatilità dei titoli indotta dai risultati sportivi dimostra che la quotazione non è lo strumento più adatto per promuovere lo sviluppo dei club.
Se questo è il quadro attuale non bisogna meravigliarsi se molte Società di calcio italiane stiano cambiando proprietà in questi anni.
Delle 42 squadre che tra il 2010-2011 e il 2021-2022 sono state sempre presenti nel calcio professionistico, bel 25 sono state soggette per almeno una volta a un cambio di proprietà, inteso come cambio del socio di maggioranza, con ingresso spesso di investitori finanziari.
Al riguardo si sente sempre più spesso parlare di private equity.
Il private equity è “l’attività di investimento nel capitale di rischio di imprese non quotate, con l’obiettivo della valorizzazione dell’impresa oggetto dell’investimento ai fini della sua dismissione entro un periodo di medio-lungo termine” (delibera del Consiglio Direttivo di AIFI del 22 luglio 2004).
Le ragioni per le quali investitori finanziari decidono di acquisire la proprietà di una squadra di calcio sono molteplici. Di queste almeno tre vanno sottolineate.
La prima è la creazione di poli di squadre di diversi paesi, al fine di diversificare i rischi sportivi, e quindi finanziari, e ottenere sinergie di costo soprattutto nei trasferimenti di giocatori da un club all’altro.
E’ l’esempio di Rocco Comisso, patron del gruppo Usa Mediacom che in portafoglio ha anche i New York Cosmos.
Poi c’è il caso di 777 Partners, il private equity che nel settembre 2021 ha rilevato il Genoa e ha, tra le altre, partecipazioni nel Siviglia, nello Standard Liegi, e nel Vasco de Gama.
Si pensi, ancora, recentemente alla Sampdoria, acquisita da Aser Capital Limited e dal family office inglese Gestio Capital, che fanno capo rispettivamente ad Andrea Radrizzani e Matteo Manfredi, con Aser Ventures che è anche proprietario della squadra del Leeds United.
O ancora al Palermo, rilevato nel luglio 2022 da City Football Group, il principale proprietario e operatore privato di club calcistici a livello globale, con la proprietà totale o parziale di 12 club nelle principali città del mondo: Manchester City nel Regno Unito, New York City FC negli Stati Uniti, Melbourne City FC in Australia, Yokohama F. Marinos in Giappone, Montevideo City Torque in Uruguay, Girona FC in Spagna, Sichuan Jiuniu FC in Cina, Mumbai City FC in India, Lommel SK in Belgio, ESTAC Troyes in Francia e il Partner Club Bolivar in Bolivia.
La seconda ragione di investimento nel settore del calcio è data dalla possibilità di acquisire squadre che hanno il potenziale per il salto di categoria, in particolare quando da poco retrocessi e, quindi, spesso già strutturati per le massime serie, perché la promozione porta un sensibile aumento dei ricavi da diritti tv e sponsorizzazioni, oltre che di valorizzazione del brand.
E’ il caso dello stesso Palermo, della Sampdoria, ma anche del Parma, comprato nel 2020 dal Krause Group, che negli Usa gestisce una catena di minimarket, e del Venezia FC , acquisito da un gruppo americano.
Una strategia che si riverbera anche nelle serie inferiori, come dimostrano i passaggi di proprietà del Cesena quando militava in serie C, del Campobasso e della Spal.
La terza ragione è di natura fiscale.
In caso di gruppo, in determinati casi e con determinati presupposti, la controllante può, infatti, portare in deduzione dall’imponibile le perdite delle società controllate.
Si pensi alla Mediacom di Comisso e al gruppo Friedkin, proprietario della AS Roma.
La provenienza americana di molte nuove proprietà delle società di calcio è dovuta anche ad una considerazione globale: le prime quattro Leghe calcistiche europee incassano la metà delle leghe americane Nfl, Nba, Mlb e Nhl.
Nel calcio europeo c’è, dunque, una significativa possibilità di sviluppare il business più di quanto non accada altrove.
E se nella Premier League inglese e nella Liga spagnola la crescita dei diritti televisivi e dei ricavi commerciali si è prodotta velocemente, in Italia c’è ancora tempo e spazio per la crescita.
E’ così che molti investitori americani si sono affacciati in Italia, anche superando un certo timore iniziale legato ai rischi della retrocessione del club che non è prevista nei campionati americani.
L’indagine condotta fin qui dovrebbe dimostrare come l’interesse degli investitori finanziari nel calcio italiano sia destinata a crescere.
E’ chiaro però che con questa prospettiva la questione della creazione di valore diventa sempre più attuale.
Oltre ai risultati sportivi – per definizione imprevedibili e aleatori – e le plusvalenze sui trasferimenti – non sempre facilmente ripetibili – per aumentare il valore di una società occorrerà lavorare sulla proprietà e sul tasso di riempimento dello stadio con la vendita dei biglietti, sulla visibilità e sulla diffusione del marchio, sul potenziamento del merchandising, sull’aumento dei ricavi da diritti televisivi e sulla valorizzazione dei settori giovanili.
Più sarà possibile creare valore attraverso questi temi più è presumibile che si diffonderà l’ingresso di investitori istituzionali nel mondo del calcio italiano; e la possibilità di exit con interessanti plusvalenze potrà certamente fare il resto.