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Torino di piombo, più di una lezione di storia. Anzi meglio.

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matteo marani storie
matteo marani storie
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Se i tifosi continuano a protestare, parto per una destinazione innocua, non ho certo il dono dell’ambiguità.

Orfeo Pianelli

Entri in salotto, tuo figlio sta vedendo delle immagini in bianco e nero. Lui sta vivendo quella fase in cui, oltre a seguire i Social, comincia a scavare negli avvenimenti che sono successi qualche anno prima.

Ogni tanto si gira e aspetta che cominci a raccontare.

Torino di Piombo, lo speciale di Matteo Marani è una scusa. Una scusa per tornare a quando ero poco più piccolo di adesso e di quando a casa scoppiavano i tumulti per chi dovesse leggere il Guerin Sportivo.

È una scusa per risentire canzoni così:

https://www.youtube.com/watch?v=GT1mKBakElM

Ok, che cosa volete?

Tenevo 10 anni. I Clash sarebbero venuti dopo.

Certo, ci stava la Salernitana con i presidenti che arrivavano, incassavano gli abbonamenti e scappavano con la cassa.
Ci stava pure una scritta:

ESPOSITO, VITULANO NON SI TOCCA!

Ma nel paese succedevano altre cose. Intanto si sparava. O proiettili nelle gambe dei giornalisti o eroina nelle vene.

Ci stava l’avvocato, ci stava la Marisa: Boniperti Giampiero da Barengo. Astuto e potente, il braccio armato della famiglia Agnelli nel mondo del calcio.

Uno che vedeva lontano: una volta Ormezzano raccontò che, mentre era in trattativa per un aumento, fu accolto da Agnelli nel casale di campagna. Lui vide la fattoria e disse: “Va bene Avvocato, per ogni goal mi da come premio un vitello femmina”.

La Marisa diventò uno dei più importanti produttori di carne Fassona. Incarnava lo spirito Sabaudo di Torino. I suoi giocatori venivano pagati poco, comprati a poco e rendevano tanto.

E dovevano avere anche i capelli a posto. Anzi, adatti ad un atleta.

Di contro, il Torino di Pianelli Orfeo.

Foto: La Stampa

Uno che si era fatto da solo. E che era arrivato ad avere una commessa dall’allora dirigente del PCUS, Leonid Brežnev, per dei lavori nello stabilimento di Togliattigrad.

I tifosi del toro erano quelli che parlavano in dialetto piemontese. Che lavoravano come quadri o dirigenti in Fiat. Che vivevano da generazioni e passavano il sabato a passeggio per il corso, per poi andare a prendersi una cioccolata calda.

Ecco, mentre continuavano a scorrere le immagini, le voci e le facce mi sono detto:

“Cazzo, quanto ero ingenuo. Mi piacevano e dopo mi sarebbero stati sulle palle. Mi piaceva Bettega e non Pulici. Anni dopo ho capito che Bettega mi stava sulle palle e Pulici era veramente forte. Tifavo per la Juve e non per il Bilbao.  Adesso non chiedetemi neanche per chi avrei tifato”.

Ecco, la Torino che era esplosa. Torino, divisa tra operai in fermento e impiegati che volevano tornare a lavorare.

Torino che era in cassa integrazione, una città sotto assedio per un maxi-processo alle B.R. Laddove i giornalisti venivano uccisi e i giudici popolari rifiutavano l’incarico per paura.

Nei quartieri operai le alternative erano tre: o tifare Juve o entrare nella lotta armata o farsi di eroina.

E una non escludeva l’altra.

Mentre vedevamo il racconto di un’epoca – di uno scudetto giocato punto a punto – mio figlio continuava a girarsi. Si aspettava, da me, particolari su quell’epoca che non avrebbe ricevuto.

Marani stava già raccontando tutto. Più di un libro di storia.

Anzi, meglio.

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