La Salernitana, come ci ha insegnato la sua storia secolare, è un ‘supplizio’ agrodolce di cui non si riesce a fare a meno. A Lignano Sabbiadoro abbiamo vissuto l’ennesima dimostrazione di questa consapevolezza, che è ben radicata nell’anima di tutti gli amanti delle sorti del Cavalluccio. Quando la tremenda staffilata di Misuraca ha trafitto Belec, pochi minuti dopo l’innaturale salvataggio sulla linea effettuato da un difensore friulano sul colpo di testa a botta sicura di Gondo, i rimpianti, mescolati alle intime lacrime versate copiosamente per un’ora da sogno che stava per lasciare spazio ad un’amara realtà, hanno sottratto le residue energie e costretto i corpi di migliaia di tifosi ad abbandonarsi sfiniti sulle poltrone e i divani domestici.
Attimi contrassegnati da confusione mentale, tristezza e delusione, trascorsi a rivisitare lo snervante film della partita, mentre la squadra, psicologicamente destabilizzata, rischiava di capitolare nuovamente sulle frequenti azioni di rimessa dei rivali. Come se non bastasse, a rendere ancora più frustranti le sensazioni di sgomento e impotenza provvedeva l’insopportabile (ma legittima) melina dei calciatori di casa, i quali su ogni ripresa del gioco da palla ferma divoravano cinicamente gli scarsi secondi che ancora alimentavano la speranza di un improbabile ribaltone granata.
Ed invece, quando la lancetta si apprestava a coprire la residua mezzaluna dell’ultimo giro di quadrante, Casasola ha raschiato il barile della sua capienza polmonare, solcato per la centesima volta la fascia destra e servito alla perfezione il passaggio dettato dal movimento di Tutino verso l’esterno. L’ingenuo Barison si è reso protagonista di un’entrata scomposta e fallosa nei propri sedici metri, l’arbitro Valerio Marini non ha avuto dubbi: rigore netto per la Salernitana.
In quel preciso istante, inattesa e quindi ancora più esaltante, una potentissima scossa adrenalinica ha rianimato emotivamente i tanti tifosi granata che, intanto, stavano pazientemente cominciando ad elaborare la delusione per l’ennesima incompiuta dell’Ippocampo. Una dirompente esplosione interiore, seguita immediatamente dal classico effetto della campana di vetro, ossia quando dentro e intorno a te il silenzio regna sovrano e gli occhi osservano in maniera febbrile accadimenti privi di sonoro, alla stregua di quei drammatici colossal bellici prodotti dal cinema statunitense. Tutino che raccoglie il pallone, lo posiziona accuratamente sul dischetto, prende la rincorsa e trafigge con un tiro angolatissimo l’incolpevole Perisan.
Solo a quel punto, la campana di vetro si è ridotta in frantumi ed è stato finalmente possibile ascoltare i rumori assordanti delle proprie voci festanti, di quelle dei vicini e le urla provenienti dalla strada mischiate al gioioso fracasso dei clacson e dei mortaretti. Dalle ore 16 e fino al rientro in città della squadra, Salerno ha deciso di consegnarsi ad una gioia sfrenata e genuina, a lungo repressa e desiderosa di esprimersi dopo anni caratterizzati da un’estenuante provvisorietà tecnica.
Poi, saggiamente, le decine di migliaia di cuori granata hanno capito che con gli antipasti accompagnati dal pane bisogna andarci cauti, se non si vuol correre il rischio di non assaporare tutte le pietanze assortite di un sontuoso pasto luculliano. La consapevolezza di altri sofferti centottanta minuti da affrontare, ha iniziato a suggerire a tutti un savio ritorno con i piedi sulla terraferma.
Guai a riporre anzitempo l’elmetto, che dovrà essere ancora indossato per le ultime due battaglie di una stagione in cui la squadra non ha mai smesso di viaggiare armoniosamente in compagnia delle doti caratteriali ed umane che l’hanno resa granitica.
Per la gioia completa, trascinante fino a toccare le sacre sponde dell’Eden pallonaro, la navigazione di Di Tacchio e compagni non può e non deve abbandonare la bussola che l’ha guidata per sette lunghi mesi. I quattro punti cardinali per completare una trionfale traversata, adesso più di prima, dovranno continuare ad essere l’umiltà, il temperamento inesauribile, la voglia di sacrificarsi l’uno per l’altro e il desiderio di restituire entusiasmo e passione ad una piazza che vive da sempre in simbiosi con la sua amata creatura calcistica. E’ già tempo di ricominciare a STARE ZITTI!